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Apocalypse in the Tropics, l’avvenire di una delusione. La recensione di Buoncristiani

Al festival del cinema di Venezia il film inchiesta sul Brasile di Bolsonaro indaga la post-democrazia e le sue tentazioni teocratiche. La recensione di Chiara Buoncristiani

La delusione rischia di essere la forma principale dell’avvenire delle nostre democrazie? La delusione può essere tanto potente quanto l’illusione. Oppure la delusione può portare a scommettere su un’illusione ancora più grossa. Ne l’Avvenire di un’illusione Freud descrive la religione come una illusione, ossia «l’incarnazione dei più antichi, forti e profondi desideri del genere umano». La delusione nei confronti delle democrazie occidentali, come diceva Aldo Moro “ormai arrugginite” e sempre inefficaci nel garantire parità e benessere ai cittadini, può portare al bisogno di credere che la soluzione sia proprio la religione, o meglio la teocrazia, come nuova forma di organizzazione che tutto risolverà…

Che cosa succede quando finisce una democrazia e inizia una teocrazia è la domanda da cui parte Petra Costa, regista di Apocalypse in the Tropics, documentario presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 81. Un vero e proprio lavoro d’inchiesta, che indaga la presa sempre più potente che i leader evangelici cristiani hanno sulla politica brasiliana.

All’inizio del film vediamo la costruzione di Brasilia come incarnazione del luogo ideale della democrazia e poi il suo lento declino, fino al finale, che riprende le rovine lasciate dopo gli assalti al Parlamento da parte dei sostenitori evangelici di Bolsonaro.

Dal 2016 ad oggi la filmmaker ha seguito e filmato da vicino i segreti dei più importanti leader politici del Paese: il presidente Lula e l’ex presidente Jair Bolsonaro, mettendo però al centro anche ai più influenti telepredicatori, tra cui Silas Malafaia, capo della chiesa pentecostale Assembleia de Deus Vitoria em Cristo, famosa per le posizioni contro l’omosessualità e contro l’aborto, nonché per la “difesa della prosperità”.

La cinepresa di Costa è una lente d’ingrandimento su un momento storico di profonda confusione e disperazione, ma riesce a mantenere lucidità di racconto, intrecciando passato e presente, e immergendo lo spettatore nelle realtà contraddittorie di una democrazia appesa a un filo sottile. «Quando sono entrata nel palazzo del Congresso per il mio film precedente nel 2016, invece di imbattermi in deputati che discutevano di politica, ho trovato un gruppo di evangelici alle prese con benedizioni. Erano determinati a istituire un governo di veri credenti e ad abbattere, una volta per tutte, il muro tra Chiesa e Stato. Poco dopo, abbiamo capito che questo gruppo non era affatto marginale, ma rappresentava una delle forze politiche più forti del Brasile», spiega Costa. «La democrazia è in crisi non solo perché le istituzioni non ottengono risultati, oppure per il disincanto delle persone, ma anche perché si sta verificando un attacco frontale contro le tutele e i diritti delle minoranze. Secondo questi movimenti, la maggioranza cristiana avrebbe il dovere di imporre la propria volontà su tutti gli altri».

Secondo Costa, i punti di contatto con gli Stati Uniti sono evidenti: «Il recente attacco a Donald Trump sembra una ripetizione dell’accoltellamento subito da Bolsonaro durante la campagna elettorale del 2018: entrambi sono vittime della violenza che loro stessi alimentano. Il mio film racconta il trauma di una perdita: non quello per una persona cara, ma verso i sogni che si hanno per il proprio Paese e per il futuro».

(Foto: La Biennale di Venezia)

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