La Consulta interviene sulla timorosa lentezza dell’azione amministrativa agendo sulle conseguenze in punto di responsabilità del dipendente, ma è sulle cause di tale lentezza che ci si dovrebbe concentrare. L’intervento di Vito Tenore, presidente di sezione della Corte dei conti e docente Sna
I dialoghi conviviali, i talkshow televisivi o le tante titolazioni giornalistiche sempre più spesso evidenziano “luoghi comuni”. Eccone un breve florilegio. «Il clima è cambiato e fa sempre più caldo; i giovani sono più maleducati e violenti rispetto al passato; la scuola e la sanità pubbliche sono abbandonate dalla politica; aumentano i femminicidi, la vita media si è allungata, le intelligenze artificiali stanno sostituendo l’essere umano, la presenza in famiglia di animali domestici è in continua crescita, la dieta mediterranea è la migliore, oggi un uomo o una donna di 50 anni non sono più dei “vecchi”, i politici attuali non sono più quelli di una volta, la differenza tra destra e sinistra si è attenuata, il livello medio di preparazione dei professionisti si è abbassato, il Presidente della Repubblica è per fortuna un organo super partes, su internet si vede ormai di tutto in modo diseducativo, il mondo social è pieno di fake news».
L’elenco dei luoghi comuni o del politicamente corretto potrebbe proseguire a lungo e ben può in esso collocarsi anche il tema, assai diffuso nei media e in discussioni parlamentari, della “paura della firma” o della “la burocrazia difensiva”, anche nella sua innovativa versione linguistica, mediaticamente assai suggestiva, data dalla “fatica dell’amministrare”.
Il “copyright” di quest’ultimo slogan va sicuramente riconosciuto alla recente sentenza n.132 del 2024 della Consulta che ha fatto salvi interventi legislativi restrittivi della responsabilità amministrativa dei dipendenti e amministratori pubblici (art. 21, d.l. n.76 del 2020) e ha nel contempo, in modo sorprendente, dato una “benedizione anticipata” a prossimi ulteriori e imminenti interventi restrittivi in cantiere da parte del legislatore sul regime delle responsabilità del dipendente pubblico (progetto di legge Foti C1621).
Nell’ambito di questa ampia e variegata rassegna di “luoghi comuni” vi è, però, una fondamentale differenza tra di essi: alcuni sono documentalmente o scientificamente provati o provabili (hanno evidenze probatorie oggettive l’incremento del clima e di reati minorili, il malfunzionamento e le liste di attesa in ospedali pubblici, il numero crescente di femminicidi, l’allungamento medio della vita, la sostituzione di uomini con IA nel lavoro, la crescita in anagrafe e in contesti sociali di animali domestici, l’aumento dei ristoranti di cucina italiana nel mondo, l’assenza di forti e nette ideologie politiche contrapposte etc.), mentre altri, come la “paura della firma” e la “fatica dell’amministrare”, rimangono sul mero piano delle percezioni e sensazioni.
Trattasi dunque di categorie umorali, mediatiche, politiche o salottiere, in assenza di riscontri scientifici o statistici che le comprovino. E parimenti assenti, sul piano probatorio, ci sembrano sentenze “persecutorie” nei confronti di dipendenti e amministratori pubblici (che originerebbero “paure” paralizzanti), condannati invece dall’equilibrata Magistratura contabile (al pari del giudice penale) solo e soltanto per clamorose sciatterie, macroscopica violazione di norme, assoluta inosservanza delle più elementari regole di buon senso e di prudenza, prevedibilità dell’evento dannoso, sprezzante trascuratezza dei propri doveri.
In altre parole, la “paura della firma” e la presenza di asserite sentenze giuscontabili persecutorie sembrano configurare un assioma psicologico indimostrato, ma che talvolta ispira il legislatore per assumere rassicuranti iniziative, quali il soprammenzionato art.21, d.l. n.76 del 2020 o l’adottando progetto di legge Foti C1621.
A ciò aggiungasi che l’unico studio effettuato in Italia sul tema è quello “Burocrazia difensiva. Come ne usciamo?” curato da Forum PA nel maggio 2017, il quale smentisce chiaramente tale assioma psicologico, recepito anche dalla Consulta nella sentenza n.132/2024, ovvero che il timore delle responsabilità previste dall’ordinamento, e dunque soprattutto quella contabile – vista la progressiva perdita di deterrenza preventiva della reazione penale – sia la principale causa della “paura della firma”.
In tale studio, abbastanza recente e dunque attendibile, sono stati sentiti ben 1.700 dirigenti, funzionari, amministratori over 45 anni e di tutti i comparti, uomini, donne e pensionati. È emerso che la burocrazia difensiva nasce, in primo luogo, per la mancanza di una rotta certa da parte dei nocchieri: legislatore e vertici gestionali non indicano ai dirigenti e funzionari la logica della navigazione. A tale prioritario elemento di destabilizzazione, segue l’eccessiva produzione normativa, i mutamenti e la sovrapposizione di norme. In terzo luogo, l’indagine evidenzia la frammentazione delle responsabilità nelle strutture amministrative, che rende poco chiaro l’agere pubblico. In quarta posizione si colloca la difficoltà a capire i processi di riforma e il senso strategico del proprio lavoro. Segue, quindi, l’inadeguata formazione e poi la demotivazione (scarso riconoscimento sociale del proprio lavoro). In posizione finale, sul piano della gerarchia delle preoccupazioni destabilizzanti e intimorenti, si colloca la Corte dei conti con i suoi giudizi e l’inasprimento dei troppi controlli.
Sarà molto interessante verificare se tali dati verranno confermati dal nuovo progetto di ricerca Prin “Defensive bureaucracy and responsibility in the Italian administrative system”, promosso nel 2024 da quattro unità di ricerca – università della Tuscia, università di Bologna, università la Statale di Milano e università di Pavia – in collaborazione con la Sna quale organismo di ricerca, nell’ambito del bando Prin 2022, affidato a un gruppo di esperti guidati dal prof. Stefano Battini.
In attesa di esiti scientifici maggiormente probanti sulla reale esistenza di una “paura della firma” (categoria sicuramente non rinvenibile tra le patologie psichiatriche nei trattati di medicina) paralizzante e rallentante, su un piano meramente empirico, il dialogo in contesti giudiziari, didattici ed extralavorativi con avvocati, dirigenti pubblici e amministratori evidenzia sicuramente una sana latente “preoccupazione” di possibili responsabilità in capo ai gestori della cosa pubblica (raccontata anche ai propri legali e consulenti) nel quotidiano lavoro (soprattutto in capo ad amministratori, più che in capo a dirigenti, forse tecnicamente più preparati e quindi coraggiosi).
Tale mera preoccupazione ci sembra, tuttavia, fisiologica in chiunque agisca nella vita quotidiana e soprattutto in chi abbia ruoli di ben remunerata responsabilità che comportino scelte gestionali: il timore di sbagliare (e di pagare) induce, infatti, a scelte più meditate e approfondite, a istruttorie complete e non superficiali, a motivazioni ragionate e ragionevoli, a osservare le regole. L’importante è che tale “preoccupazione” non trasmodi, per ignoranza, in una immotivata “fobia” dettata dalla paura del “non conosciuto” che possa paralizzare l’azione amministrativa.
È nel contempo sicuramente avvertibile, sempre su un piano empirico, che nei quattro anni di moratoria da responsabilità amministrativo-contabile per le condotte gravemente colpose attive, dovuta al tranquillizzante art. 21, d.l. n.76 del 2020 (che, sino a dicembre 2024, punisce solo quelle dolose commissive, per asserite esigenze di rilancio dell’economia post covid e in attuazione del Pnrr), non si è avvertita alcuna propulsione o accelerata gestionale all’interno e all’esterno della Pa. In altre parole, non si è percepita da parte dell’utente finale alcuna accelerata o maggior propulsione nell’erogazione dei servizi pubblici o nella effettuazione di lavori pubblici, nonostante l’ombrello protettivo normativo.
Tuttavia, il martellante battage politico (ispirato da evidente ricerca di consenso elettorale soprattutto tramite amministratori locali, principali destinatari delle più recenti norme-ombrello) e mediatico sulla asserita “paura della firma”, sulla “burocrazia difensiva” e sulla “fatica dell’amministrare” dei dirigenti e amministratori pubblici che, per ritenuta colpa di invasive procure (penali e contabili) paralizzerebbe l’azione della Pa, ha portato alla elaborazione del predetto scudo erariale (art.21, d.l. n.76 del 2020, avallato dalla Consulta con sentenza n.132/2024).
Tale scudo si è tradotto in 4 anni di tendenziale impunità in sede contabile per condotte commissive dannose, ed è stato affiancato da altri interventi sistemici: l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, la modifica della valenza extrapenale della sentenza di patteggiamento (riforma Cartabia), la tipizzazione della colpa grave (e alla previsione di polizze assicurative) nel Codice dei contratti e il tutto verrà verosimilmente completato dalla approvazione del multidirezionale progetto di legge Foti C1621, teso a ulteriormente mitigare la responsabilità amministrativo-contabile.
Trattasi di testi normativi di cui non si avvertiva l’esigenza all’interno della dirigenza pubblica (forse il discorso muterebbe se si facesse riferimento ai desiderata degli amministratori pubblici, soprattutto di enti locali), che se da un lato potrebbero rasserenare, secondo gli auspici dei promotori delle norme e della stessa Consulta (sentenza n.132/2024), gli amministratori, i dirigenti e i funzionari pubblici, dall’altro porterà, per le forti restrizioni alla meritoria azione preventiva e poi recuperatoria della Corte dei conti nei confronti di autori di condotte dannose per la Pa, a un accollo sulla collettività (quella, ovviamente, che paga le tasse, in primis i pensionati e i pubblici dipendenti) dei costi di tale mala gestio, ancorchè frutto di condotte gravemente colpose commissive, non sanzionabili sino a dicembre 2024 in base all’art.21, d.l. n.76 del 2020.
Difatti la Pa, per condotte dannose direttamente patite poste in essere da propri dipendenti o amministratori o per risarcimenti a terzi dovuti ad errori degli stessi, sosterrà rilevanti e crescenti costi (l’amministrazione da decenni subisce crescenti condanne civili per danni arrecati a terzi da errori o omissioni di propri dirigenti o amministratori) che non verranno successivamente recuperati in sede di rivalsa dagli autori materiali, se non in minima parte, attraverso l’indipendente azione recuperatoria della Corte dei conti. E tale tutela normativa di chi sbaglia (e non paga) verrà accentuata dal progetto di legge Foti C1621: aumentano dunque le condanne civili contro la Pa (con costi a carico della collettività), ma si precludono o limitano fortemente le rivalse in sede contabile nei confronti delle persone fisiche che hanno sbagliato, con una distribuzione dei costi dei danni da gravemente colpevole condotta sul portafoglio dei cittadini.
La minor deterrenza dell’azione inquirente e giudicante della Corte dei conti, dovuta al predetto progressivo depotenziamento normativo delle proprie storiche funzioni di valenza costituzionale, porterà verosimilmente non già all’auspicato – dal legislatore, con avallo della Consulta – rilancio dell’economia, ma della sciatteria. Ovvero, in spregio del buon andamento della Pa e dell’efficienza ed efficacia operativa, ad un maggior lassismo e superficialità gestionale da parte di amministratori, dirigenti e funzionari, coperti da “scudi erariali”, tetti pecuniari alle condanne, polizze assicurative, pericolose restrizioni della nozione di colpa grave, poteri riduttivi dell’addebito coartati, novelle varie che vanno ad aggiungersi ai già adottati interventi sulla limitazione alla perseguibilità del danno all’immagine (c.d. lodo Bernardo, art.17, co.30-ter, d.l. 1 luglio 2009 n.78, conv. in l. 3 agosto 2009 n.102, parimenti graziato dalla Consulta, che irragionevolmente impone un previo giudicato penale per poter azionare in sede contabile il danno all’immagine), sulla abrogazione dell’abuso d’ufficio e sul depotenziamento della efficacia extrapenale della sentenza di patteggiamento ad opera della riforma Cartabia.
In estrema sintesi, in un sistema normativo che, sotto le formali apparenze valoriali del garantismo o del rilancio dell’economia, evidenzia in realtà una fuga verso l’impunità in molti campi (penale in primis, ma anche giuscontabile e disciplinare), ci sembra non difficile profetizzare nel prossimo futuro un forte incremento dei costi pubblici da cattiva gestione per assenza di strumenti di piena deterrenza all’agire superficiale o poco approfondito dei funzionari e amministratori pubblici i cui errori, forieri di danno erariale, resteranno a carico della Pa e dunque dei contribuenti.
E tali restrizioni alla pungolante azione contabile intervengono proprio in un momento storico in cui appaiono basilari i controlli sulla corretta gestione di denari pubblici in “epoca Pnrr”, che dovrebbe essere particolarmente oculata e attenta. Si è dunque abbassata la guardia sul piano normativo, quando la si doveva alzare.
Ben altre dovrebbero essere invece, a nostro avviso, le direttrici “a monte” per una illuminata politica del miglioramento dell’efficienza dell’azione pubblica e del rilancio dell’economia: a) reclutamento più meritocratico e indipendente dei migliori dipendenti (art. 97 Cost.) che, in quanto tali, saranno più competenti, imparziali, produttivi e, soprattutto, meno timorosi (è l’incompetenza a rendere pavidi e lenti); b) costante formazione e aggiornamento degli stessi per saper affrontare situazioni nuove e referenti normativi mutati (maggiori stanziamenti per la formazione concreta e non teorica); c) stabilità normativa (evitando la frenetica produzione di testi estemporanei e poco sistematici o derogatori) e codificazione rapida, per materia, delle troppe norme esistenti, per evitare rallentanti incertezze interpretative da parte della dirigenza e degli amministratori pubblici; d) redazione in modo chiaro delle norme da parte di ingegneri (e non di geometri) del diritto, per rendere chiari e indirizzanti i precetti normativi; e) meritocratica attribuzione delle qualifiche dirigenziali, soprattutto apicali, a soggetti dotati di capacità gestionali, preparati e, come tali, produttivi e rapidi; f) incentivi economici ai più meritevoli e capaci senza erogazione “a pioggia” di premi e indennità di risultato, in modo da stimolare efficienza e tempestività gestionale.
Solo questi interventi strutturali porteranno, ove esista, al recupero del “coraggio perduto della firma”.
La migliore assicurazione per ogni dirigente o amministratore pubblico serio e non pavido non è dunque data da “scudi erariali”, norme ad castam, o da polizze (il cui costo si vorrebbe addirittura porre a carico della Pa danneggiata), ma dalla propria competenza tecnica frutto di selezione, studio e aggiornamento, nonchè dalla motivazione attenta e congrua delle proprie scelte gestionali: nessun giudice sindaca o sindacherà mai scelte gestionali – provvedimentali, materiali, conciliative, transattive – anche se complesse e onerose, ove le stesse siano motivate in ordine all’iter logico-giuridico seguito, ancorato a referenti normativi e risultanze istruttorie correttamente ed esaustivamente svolte da funzionari preparati.
In estrema sintesi, i progressivi interventi normativi limitativi delle responsabilità dei dipendenti pubblici avallati nel tempo dalla Consulta (da ultimo con la sentenza n.132/2024) sembrano voler intervenire sulla timorosa lentezza dell’azione amministrativa agendo “a valle”, ovvero sulle conseguenze in punto di responsabilità del dipendente, invece di intervenire “a monte”, ovvero sulle cause di tale timorosa lentezza, ovvero la farraginosità delle norme da semplificare e codificare e la scarsa competenza del personale (soprattutto in enti locali), da migliorare con selezioni serie e formazione elevata.
Se poi l’obiettivo finale fosse una aprioristica impunità totale per il dipendente pubblico, quale via maestra per rendere la Pa più rapida ed efficiente, la strada più agevole potrebbe essere un’altra, più snella e indolore e anche più economica: sostituire i lavoratori e gli amministratori pubblici con dei travet-robot, degli avatar pubblici che, in quanto “res” (ovvero mere “cose”), non saranno punibili, né arrestabili, né condannabili. E anche la giustizia potrebbe essere affidata, non senza qualche perplessità di valenza costituzionale, a giudici-robot, ovvero a “cretini digitali”.
Gli esseri umani si limiteranno così, impuniti e impunibili, a contemplare, rilassati e non piegati dalla “fatica dell’amministrare”, l’agere amministrativo (e non solo) affidato a macchine e a intelligenze artificiali. E così la realtà distopica dei robot di Karel Čapek si realizzerà.