Pubblichiamo l’articolo di Costanza Rizzacasa d’Orsogna uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi, grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori
I dati Auditel confermano quanto già visto in tv. Nuovo o vecchio che sia, il talk politico è morto, ucciso da autori e conduttori senza idee e ospiti inutili e/o imbarazzanti. Che dire del triste spettacolo di La Gabbia di Gianluigi Paragone (3,97%, con 808.000 telespettatori), che non a caso porta il nome di un noto sito sadomaso? Definito da Aldo Grasso «il più brutto talk politico mai visto finora» e «modo di fare tv primordiale, costruito secondo i principi atavici del pollaio», ha scatenato perfino una difesa d’ufficio al tiggì di La7 il giorno dopo.
E poi Quinta Colonna, dell’«arruffapopolo» Paolo Del Debbio (3,51% e 811.000 spettatori), crollato rispetto alla media della passata stagione, e il deludente debutto del nuovo si-fa-per-dire Matrix con Luca Telese, nella seconda serata di Canale 5 (6,84% e 615mila spettatori, un po’ meglio alla seconda puntata).
In seconda serata Bruno Vespa è apparso il più professionale, ma non immune alle solite cadute piacione, come quella di chiamare gli stilisti a dar consigli di look a Enrico Letta e Matteo Renzi. Dove, se il premier è apparso, e per fortuna, oltremodo imbarazzato, non così il sindaco di Firenze e futuro leader del Pd tutto Scervino-vestito, che con gli stilisti va a braccetto tanto da aver presentato proprio lunedì l’autobiografia di Roberto Cavalli. Attirandosi la lavata di capo di Marco Castelnuovo della Stampa («Per modernizzare bisogna essere moderni: non per forza, però, bisogna salire su ‘cavalli’ leopardati»). Per non parlare di Ballarò, dove si è spento anche Maurizio Crozza e martedì si è assistito alla débâcle di Mara Carfagna.
E se il talk politico è morto, anche la cronaca morbosa non si sente tanto bene. Così, Linea Gialla di Salvo Sottile (il titolo è una via di mezzo tra lo storico Telefono Giallo di Augias e l’omaggio al settimanale dell’editore Cairo – Giallo, appunto), pur avendo strappato a Rai Tre il veterano Fiore De Rienzo (e relativi scoop), ha fatto al debutto appena il 2,3%. Vero, «gli spettatori di La7 non corrono su Canale 5. Le spettatrici di Retequattro non corrono su La7. Sono processi lentissimi», come ha giustamente osservato su Twitter Gregorio Paolini. E ancora: «I talk show costano poco», si dice. «Per questo in tempi di crisi se ne fanno tanti». Vero anche questo, ma la gente a casa non è scema. E quando cerca informazione sa riconoscere la qualità. Come Presadiretta l’approfondimento di Riccardo Iacona su Rai Tre (5,63% di share, con 1.422.000 spettatori), che lunedì, invece che delle grane di Silvio Berlusconi, si occupava di argomenti veri. Raccontando il prezzo altissimo che gli europei stanno pagando alle politiche di austerity: come i nuovi emigranti italiani che vanno in Germania a cercare lavoro come manodopera low-cost o i portoghesi affamati che scappano in Angola. Passando per le migliaia di fallimenti che nel Nordest italiano si stanno portando via quel settore manifatturiero che una volta era il vanto del Paese.
Un altro bell’esempio di tv di qualità è andato in onda sabato scorso in prima serata su Rai Storia (canale 54 del digitale terrestre). Che pur essendo un canale tematico, quindi non paragonabile ai colossi generalisti, ha totalizzato, con Viaggio nell’Italia che cambia di Edoardo Camurri, 49mila spettatori, cioè più della metà degli 89mila della prima puntata «sans Mentana» di Night Desk, il nuovo talk del TgLa7, facendo peraltro il record di ascolti della giornata per la rete di Rai Educational.
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