Skip to main content

Londra fuori dall’industria della difesa europea? Cosa fare secondo Terhorst

Tra l’incudine (maggiore integrazione europea) e il martello (ruolo junior con gli Usa), l’industria della difesa Uk rischia di diventare il “brutto anatroccolo” dell’Occidente. Ai laburisti il compito di cambiare le carte in tavola, perché, altrimenti, Londra rischia grosso (anche sul carro del futuro)

Aspettando il rapporto Draghi, che promette misure atte a un’integrazione continentale dell’industria della difesa europea, i britannici sono alla finestra. Che Brexit sia un rimpianto è ormai chiaro, e i produttori di sistemi d’arma Made in UK rischiano di essere tra i più danneggiati, a meno che il nuovo governo laburista non riesca a cambiare le carte in tavola. Questo quanto emerge dal commento di Linus Terhorst comparso su Rusi (Royal united services institute), il più antico e prestigioso think-tank securitario britannico. 

Il punto di partenza è ciò che ci si aspetta dalla prossima Commissione (magari influenzata proprio dalle riflessioni dell’ex primo ministro italiano) in termini di consolidamento dell’industria della difesa. Non solo i fondi dello European defence fund (Edf) sono diretti solo a consorzi di compagnie di Stati membri, ma su Rusi si dà per scontato che lo European defence industrial strategy (Edip) sarà applicato, col suo obiettivo, per il 2030, di spendere il 40% degli acquisti nazionali in programmi pan-europei e il 50% dei budget nazionali all’interno dell’Unione. 

A quel punto, si viene a creare “una sfida strategica per l’industria della difesa britannica,  che rischia di divenire ‘il brutto anatroccolo’ tra i più grandi mercati della difesa occidentali – Europa e Usa”. Per adesso, infatti, le negoziazioni post Brexit non hanno portato a grandi risultati circa l’ingresso britannico in Edf e Pesco (Permanent structured cooperation), contrariamente alle aspettative successive al referendum. Nel frattempo, la passata collaborazione con gli Usa non ha riscosso particolare successo nel Regno Unito, le cui industrie sono state limitate a ruoli secondari. La tradizionale strategia britannica focalizzata su collaborazioni bilaterali o minilaterali, per Terhorst, potrebbe non essere più in grado di “fornire all’industria della difesa britannica le risorse necessarie non tanto per mantenere le competenze correnti, ma per accrescere la sua competitività”. 

Tra l’incudine (maggiore integrazione europea) e il martello (ruolo junior con gli Usa) si trova proprio l’industria della difesa di Sua Maestà, la quale è particolarmente ben integrata con quella del continente. Si pensi che la filiale locale di Leonardo (Leonardo Uk) è una delle punte di diamante dell’ecosistema di innovazione e produzione di Londra, mentre il gigante britannico Bae Systems produce i carri armati Challenger appoggiandosi a una joint-venture con la tedesca Rheinmetall. 

La soluzione proposta è dar seguito alle ambizioni del nuovo governo laburista di ripensare la relazione di Londra con l’Ue. “Il governo britannico dovrebbe ri-considerare i benefici di avere una relazione simile a quella della Norvegia”.  Importante qui il “ri-considerare”: questa ipotesi era stata valutata, e scartata, dai governi conservatori, che non la avevano giudicata soddisfacente per un Paese del peso specifico del Regno Unito (mentre Bruxelles non aveva voluto elaborare eccezioni di sorta). Terhorst considera che, in questo, Londra potrà contare sulla sponda dei Paesi atlantisti dell’Ue (Polonia in testa), che vorranno mantenere tranquilli gli Usa e la Nato.

Il punto è che il mondo è cambiato, e diviene necessario trovare un accordo.  L’aggressione russa all’Ucraina, la crescente attenzione di Washington verso l’Indo-Pacifico e le minacce di Trump circa l’abbandono degli Alleati Nato che non pagano abbastanza devono portare l’Europa a fare quadrato. Effettivamente, fare a meno di una delle prime due potenze militari d’Europa potrebbe essere un autogol, ma che prezzo siamo disposti a pagare? Finché è stata dentro, Londra ha sempre ostacolato i passi avanti a livello di integrazione, specialmente nella difesa…

Focus sui sistemi del futuro 

Particolarmente interessante il punto di vista d’oltremanica circa i futuri caccia e carri armati. Niente di strano nel dominio aereo: Gcap (Italia, Regno Unito, Giappone) e Scaf (Francia, Germania, Spagna) sono ritenuti molto difficili da accorpare, pur lasciando aperta la porta a collaborazioni nel resto del sistema di sistemi: “i droni loyal wingman potrebbero essere un’area di cooperazione”. 

La visione di Terhorst circa il Main ground combat system, il programma franco-tedesco per il carro di prossima generazione, è invece più particolare, quantomeno rispetto a ciò cui siamo abituati. Si ritiene che il programma verrà aperto ad altri partner, anche per non rischiare di trovarsi tagliati fuori dal mercato dell’Europa nord-orientale; l’Italia sarà in grado di entrare nel programma, grazie alla joint-venture tra Leonardo e Rheinmetall, mentre la storica collaborazione tra quest’ultima e Bae Systems aprirà la strada al Regno Unito. 

Questa visione sembra però difficilmente futuribile. C’è da sottolineare, intanto, che aprire ad altri partner non significa garantirgli il ruolo paritetico che sarebbe conditio sine qua non per Roma e Londra: magari verranno aperte delle linee produttive in Paesi come la Polonia (precedentemente tenuta fuori da Parigi e Berlino), cui verrà data la possibilità di adattare in parte il mezzo e di usufruire di technology transfers, ma difficilmente più di quello. Inoltre, il problema di far sedere allo stesso tavolo Parigi e Londra (che ha provocato l’uscita della Francia dall’Eurofighter e la rottura del progetto di caccia di sesta generazione franco-britannico), per non parlare di dover accomodare anche Berlino, Roma e Bruxelles (nel senso di Ue), è di assai difficile risoluzione. Gli incentivi per provare a trovare la quadra del cerchio in questo campo, inoltre, non sono straordinari: il Regno Unito ha competenze di prim’ordine nel settore aeronavale e navale, ma quello terrestre potrebbe non portare enormi vantaggi. 

Nel complesso, le valide considerazioni di Terhorst circa il rapporto di Leonardo e Bae Systems con Rheinmetall potrebbe essere foriero di un epilogo diverso. Anche considerando che ridurre la base industriale di tutto il continente a un solo consorzio terrestre sarebbe, alla lunga, controproducente in termini di capacità industriali e di innovazione, si potrebbe presupporre la costituzione di un consorzio italo-tedesco-britannico per la produzione di un’alternativa al Mgcs. 

Anche questo, però, non sarebbe scontato. Perché Roma e Berlino dovrebbero sforzarsi per accomodare Londra? Di nuovo, la ratio del valore aggiunto del Regno Unito non sembra sufficiente, specie se si considera che bloccherebbe l’uso di finanziamenti europei per questo ipotetico carro e per il Mgcs (Roma, e forse anche Berlino, metterebbero il veto). Magari il Panther italianizzato di Leonardo-Rheinmetall evolverà ugualmente in un secondo Mgcs, ma senza Bae Systems. 

Nel complesso, questo serve a sottolineare che, senza ripensare la collaborazione attualmente in essere tra Regno Unito e Unione europea, Londra rischia davvero di restare fuori dai giochi. 

×

Iscriviti alla newsletter