Il processo di transizione energetica verso un sistema basato su fonti rinnovabili non deve avvenire in modo cieco e fideistico, ma in modo razionale e graduale, così da poter gestire al meglio tale transizione, assieme alle emergenze che una simile trasformazione porta con sé
Dopo il tempo della resilienza e quello dello scaricare a terra, ora va per la maggiore il pragmatismo: evocarlo è rassicurante e fa sentire dalla parte giusta.
Sarà perché riecheggia in qualche modo la nozione comunque positiva del “fare” o perché è una versione nobile del realismo, che ha invece un retrogusto amaro, più di rassegnazione che di esortazione.
Tant’è: “piedi per terra”, questo il richiamo, e non essere subito d’accordo è difficile.
Per di più alla luce di tutti i cambiamenti che stanno incidendo a fondo sulle nostre vite.
Quante volte risuonano oggi gli annunci iperbolici di svolte sensazionali, seguiti dall’allarmismo degli epocalisti, che vorrebbero correre fideisticamente incontro al futuro e spingere sempre al massimo, per scongiurare ritardi incolmabili e conseguenze incalcolabili.
Certo, altrettanto sensati, non mancano i moniti severi dei più scettici, che invitano a non accelerare, a non allontanarsi, a diffidare dei nuovi orizzonti, anche a costo di sconfessare l’incombere dei ritardi e la loro gravità.
Senonchè, dopo un primo momento di appagamento, ci rimane latente una sensazione di incompiutezza, quella che rischia di farti perdere lo slancio: avvertiamo il sospetto che si stia per perdere terreno, per rimanere indietro.
Non è che ad essere solo pragmatici ci rimettono le ambizioni? Forse queste reclamano di più: una coraggiosa consapevolezza delle possibilità, le nostre e quelle dinanzi a noi.
Prendiamo, ad esempio, la sfida della Transizione Energetica, con le rinnovabili da protagoniste.
Che non sarebbe stato “un pranzo di gala” e che occorresse “cambiare passo” lo sapevamo bene: dopo anni praticamente piatti, solo a fine decennio scorso le fonti verdi da noi hanno ripreso a crescere e a cercare il recupero, ma la pandemia nel mezzo non ha aiutato.
Poi però, dopo un po’ di esitazione, siamo entrati in partita, in squadra con l’Europa, e quest’anno potrebbe chiudersi con quasi il triplo di nuova capacità rinnovabile rispetto al 2022; ma intanto sono emerse diverse questioni nuove da affrontare: la salita ha cominciato a farsi sentire.
La non programmabilità delle rinnovabili, lo sbilanciamento temporale del loro contributo (con i fenomeni dei prezzi negativi, delle curve duck o camel back e del curtailment), l’adeguatezza delle reti (con gli investimenti senza precedenti che essa richiede), la necessità di grandi capacità di accumulo e di altri fattori di flessibilità e stabilità per il sistema, come la gestione dei consumi attivi.
Il dilemma dei prezzi, in particolare, da noi largamente i più alti del Continente: dovrebbero scendere sempre più alla produzione, sia pur in un quadro di grande volatilità, ma questo non incoraggia gli investimenti (la “cannibalizzazione”) e non si traduce automaticamente in un calo dei prezzi al consumo.
E che dire poi dei nostri contesti paesaggistici? Le nuove infrastrutture energetiche proliferano, diventando parte integrante dei nostri territori, tanto da dar vita, secondo alcuni, ad una specifica tendenza evolutiva: quella di un’inedita forma di paesaggio, cosiddetto “energetico”, per la quale è stato coniato il neologismo energyscape, legittimato persino da un Tar (Campania, sent. 1556/23). Un domani addirittura, ha riconosciuto il Consiglio di Stato, “le torri eoliche potrebbero essere da valorizzare ovvero da tutelare” come parte caratterizzante del paesaggio.
Tante questioni che infrangono gli schemi dunque e che ti fanno bruciare le gambe.
Eppure non erano risvolti imprevisti e in più altrove sono già realtà: in California, ad esempio, che con l’exploit del tandem rinnovabili+batterie sta rivoluzionando i paradigmi e che tuttavia ha dovuto cedere lo storico primato nelle rinnovabili addirittura al Texas, la culla dell’oil & gas.
Anche in Europa sta avvenendo qualcosa di simile.
Per dire, in Germania, la vistosa crescita del solare ha messo in luce nel 2023 una forte oscillazione della sua resa operativa, a livello sia giornaliero che stagionale, con un mese dieci volte più produttivo di un altro e con circa quattro ore su cinque quasi improduttive. Mentre in Gran Bretagna, dove la presenza dell’eolico è più incisiva, già si prevede che nel 2027 il fenomeno dei prezzi negativi dell’elettricità possa verificarsi dieci volte più spesso rispetto al 2023 (Bloomberg/Modo Energy, 2024).
In tutto ciò l’Italia non è davanti, è vero, ma corre nel gruppo di testa e può cercare di apprendere in tempo da quanto succede.
Siamo stabilmente al terzo posto nel solare (dopo Germania e Spagna), secondi l’anno scorso come tasso di crescita, e siamo tra i paesi più attrattivi al mondo per lo sviluppo degli accumuli (EY, Recai ’24). Per più mesi le fonti rinnovabili sono già arrivate a coprire oltre il 50% dei nostri fabbisogni elettrici (sia pure sulla spinta dell’idroelettrico), siamo ad un passo dall’abbandono del carbone e le emissioni del settore energia nel 2023 sono calate più della media europea: la nostra tabella di marcia verso il 2030 risulta per ora ancora coerente, visto che i fabbisogni elettrici si mantengono stabili.
I ripetuti interventi di semplificazione/accelerazione amministrativa, uniti ad un trasversale favor normativo e giurisprudenziale, stanno dispiegando i loro effetti e ci sono istanze presentate per centinaia di Gw di capacità aggiuntiva.
La stessa Commissione nazionale Via marcia bene e spedita, anche a cavallo dei suoi avvicendamenti: tra giugno ed agosto, solo per il fotovoltaico e nonostante il periodo estivo, ha portato a termine 56 procedimenti, per oltre 3,8 Gw di potenza. E le Regioni, sempre per il fotovoltaico, hanno autorizzato oltre 3,3 Gw di progetti nei primi sei mesi di quest’anno. Pure il Governo, quale decisore di ultima istanza, continua a sbloccare progetti a tutto campo.
Ulteriori tipologie impiantistiche di taglia sono in sensibile crescita, come l’agrivoltaico, l’eolico a mare e il solare su strutture non residenziali; intanto anche il piano di sviluppo di Terna diventa ambizioso come mai prima, seppure in rincorsa.
Si può fare di più, non c’è dubbio, ma non siamo in una gara di velocità, conta innanzitutto arrivare in fondo e al meglio: per questo occorre evitare “strappi” al sistema e soprattutto darsi delle regole, sulle quali è sano che ci sia un confronto aperto e poi una presa di posizione responsabile, da parte del regolatore.
Dopotutto è quello che sta accadendo in questi giorni, sia pur in ritardo, con i vari passaggi legislativi in adozione: Dl. Agricoltura, Pniec, Dm Aree Idonee, Decreto Fer-2, Testo Unico Rinnovabili.
E non si tratta di contrapposizione alle rinnovabili, come molti denunciano a gran voce, ma di governare il processo, in maniera consapevole, di non subirlo: è doveroso cercare di perseguire i progetti migliori, quanti e dove sia meglio, affinchè le conseguenze della disottimizzazione non ricadano sulla collettività.
Se poi il numero dei progetti presentati è esorbitante non significa necessariamente che ci sia sempre un problema di “burocrazia”, né tantomeno che si debba essere più indulgenti nel loro accoglimento, anzi: ne andrebbe meglio valutata e classificata la qualità tecnica e prestazionale, oltre che la conformità/compatibilità.
Raising the bar, direbbe l’economista Mazzucato.
Già ora, ad esempio, la produttività della capacità solare sin qui installata si rivela da noi complessivamente poco brillante. E la stessa Italia Solare, l’associazione di settore, ha avanzato delle proposte di compromesso del tutto ragionevoli per il futuro, improntate, tra l’altro, ad accrescere la meritocrazia per i progetti.
Del resto, le rinnovabili sono fonti a localizzazione obbligata, che richiedono non poco spazio (per unità di energia prodotta), ma l’Italia, per contro, ha le sue particolarità geomorfologiche e meteoclimatiche, peraltro con alti tassi di densità abitativa e di occupazione di suolo: quindi lo spazio idoneo “libero” non può che farsi oggettivamente sempre più scarso e contendibile. Tuttavia l’abbondanza di aree in qualche modo già “compromesse” può diventare anche un’opportunità: basti pensare alle arterie di trasporto (strade, autostrade, ferrovie, aeroporti).
Ecco allora perché pragmatismo e consapevolezza: per procedere con determinazione verso la decarbonizzazione, anche tra le immancabili strumentalizzazioni ideologiche, le resistenze di retroguardia e l’impazienza di chi ricerca facili occasioni. Non si arretra, non ci si ferma, si gestisce l’andatura con accortezza.
Viene in mente al riguardo la curva del Ciclo di Gartner: dopo l’esaltante fase iniziale, che porta al picco delle aspettative, c’è la profonda fossa cosiddetta “della disillusione”, da dove parte la lunga salita della progressiva ’”illuminazione”.
La salita più dura, quella definitiva: quella in cui siamo.