Indipendentemente da ricette progressiste, liberiste, conservatrici e di altra natura, l’agenda europea va focalizzata su pochi temi, poco ideologici, per aiutare l’Europa ad uscire dal suo decadentismo cronico. E per fare questo ci vuole una grande dose di real politik. E cioè capire i punti di forza e di debolezza dell’avversario, conoscere i propri limiti e adattare lo schema di gioco sempre, costantemente. L’intervento di Lodovico Mazzolin, manager settore bancario e finanziario
Il noto dilemma shakespeariano ben si attaglia al dibattito sul futuro dell’Europa. La battuta recitata all’inizio del terzo atto dal principe Amleto, una delle frasi più celebri della storia teatrale, è perfetta per descrivere lo status di imbarazzo politico che sta vivendo l’Europa. Il dubbio amletico tra il vivere soffrendo (essere) o il rischiare di morire per ribellarsi al destino crudele (non essere) è la spiegazione dell’immobilismo che impedisce di agire.
Ormai è acclarato che stiamo vivendo in un contesto geopolitico nuovo. Il bilateralismo sta dilagando e stiamo affrontando almeno cinque tipologie di guerre: 1) Le guerre sul campo, basti pensare ai due principali fronti aperti (i.e. guerre russo-ucraina, arabo-israeliana) e che al mondo vi sono oltre 50 conflitti che spesso hanno impatto geopolitico; 2) la guerra migratoria, cioè la migrazione incontrollata che arriva ad esempio dalla fascia sub-sahariana, una volta di predominio europeo, oggi in mano a milizie filo-russe e ai governi spesso jihadisti; 3) quella cibernetica che si traduce in un bombardamento di fake news e attacchi cyber. Solo in Italia nel 2023 sono stati 1.411, in aumento del 29% con conseguenti notevoli costi ed investimenti; 4) quella commerciale e finanziaria, in particolare l’invasione di prodotti a basso costo dai Paesi emergenti e l’acquisto di numerose aziende europee da parte di soggetti appartenenti a stati non proprio democratici; 5) quella energetica, che ha determinato lo switch verso fonti alternative e la revisione dei rapporti ed equilibri con i paesi produttori di fonti tradizionali.
L’unica cosa che forse è rimasta globale sono i mercati dei capitali che, ormai iper-connessi, si muovono in balia dei sentiment e delle notizie e, sempre più spesso, si sono dimenticati i fondamentali della generazione di valore (i.e. flussi di cassa prospettici) e seguono le speculazioni del momento. Il tutto condito con una salsa di investitori e speculatori internazionali, in particolare i fondi sovereign, che si comprano a pezzi il nostro mercato europeo facendo shopping di aziende. Del resto, non dimentichiamo che l’Europa è un mercato molto interessante: ha 450 milioni di consumatori e rappresenta quasi il 20% del PIL mondiale.
Infine, è fondamentale ricordare che siamo alle porte della nuova rivoluzione industriale, quella dell’Intelligenza Artificiale che sta rivoluzionando il modo di prendere decisioni. Siamo già stati alla finestra della rivoluzione delle interazioni (i.e. la rivoluzione digitale) – eppure il web è stato inventato in Europa al Cern! – e rischiamo di perdere questo treno. Il paradosso è che prima ci occupiamo di regolamentare (AI Act di recente emanazione) e forse poi di investire. Drammatico!
E l’Europa cosa farà? Resterà immobile lenta e burocratica avviluppata da ideologie anacronistiche o reagirà considerando che i competitor o sono dittature mascherate/palesi o sono l’alleato storico americano che forse ha perso un po’ la pazienza.
Forse il rapporto di Enrico Letta “Much more than a Market”, pubblicato ad Aprile 2024, ed il recentissimo rapporto Draghi “The future of European competitiveness” dovrebbero essere la miccia per la politica della nuova commissione von der Leyen bis. Vedremo.
Leggendo in particolare il rapporto Draghi emergono una serie di elementi chiave affinché l’Europa possa tornare ad essere competitiva in questo nuovo scenario geopolitico. In primo luogo, viene stigmatizzato il fatto che l’Europa ha maturato un gap di produttività enorme rispetto ad altri paesi e che necessariamente deve tornare a crescere e, aggiungo, deve farlo in modo molto efficace perché la democrazia ha un costo e quindi siamo condannati ad essere più bravi. La nostra produttività salita quasi al 100% rispetto agli Stati Uniti all’inizio degli anni 2000 è di nuovo crollata a circa l’80% negli ultimi 20 anni.
Il recupero della produttività richiede di essere leader nelle nuove tecnologie e non esserne a traino e averne paura regolando da subito i potenziali impatti. Non abbiamo neanche un’azienda OTT, solo l’8% delle aziende top tech tra le prime 50 sono europee. Le nostre invenzioni e i nostri cervelli sono esportati, come se fossero prodotti made in Italy da mangiare. Continuiamo a guidare settori che sono antichi (automotive) e very capital intensive, dimentichiamo invece settori critici la cui innovazione si propaga nei settori più tradizionali
Altro elemento chiave è la decarbonizzazione, ma non per un’ortodossia green! Certo respirare aria buona è sicuramente apprezzabile da tutti, ma se diventiamo poveri e veniamo invasi, che ce ne facciamo? La decarbonizzazione è fondamentale perché l’Europa ha poche materie prime e quindi ha un costo di produzione più elevato. Dobbiamo andare su fonti alternative per ridurre la dipendenza e abbassare il costo. Il prezzo dell’energia pagato dalle aziende europee è 2-3 volte più alto che negli Stati Uniti, come si fa ad essere competitivi con questa base di partenza?
Poi vi sono la sicurezza e la riduzione delle dipendenze da terzi. Ma questi temi richiedono importanti investimenti anche pubblici ed una saggia politica keynesiana. La scala conta e mettere a fattor comune programmi europei sarà fondamentale. Soprattutto sarà necessario negoziare accordi di scambi commerciale bilaterali convenienti con paesi ricchi di risorse. Insomma, non è possibile, ad esempio, che la Repubblica Democratica del Congo, uno dei paesi più ricchi al mondo di risorse, sia predominio solo dei cinesi e degli americani. In materia, suggerisco la lettura del libro Rosso Cobalto di Siddharta Kara, molto utile a comprendere le dinamiche di quel paese. Insomma forse è necessario un “piano Mattei” Europeo.
La frammentazione del nostro mercato dei capitali e commerciale ci rende ancora più deboli e sicuramente l’assenza di debito pubblico europeo unico rende l’Euro, è inutile nasconderlo, una moneta di serie B.
Ci sono sicuramente altre linee di indirizzo su cui lavorare, che per brevità non cito, ma certamente il tema della mancanza di focus, del non saper prioritizzare e della lentezza burocratica, sono i più critici. Draghi cita i 19 mesi medi per emanare una legge, problemi atavici che la governance europea di oggi non riesce a superare ricadendo nel dubbio amletico. La banale dimostrazione di cosa stiamo affermando è che a distanza di tre mesi dalle elezioni Europee non abbiamo ancora una Commissione all’opera.
Un processo troppo lungo e poco competitivo.
Il voto capitario e l’allargamento sono un problema per la competitività, perché rallentano il processo decisorio e i nostri concorrenti che, non dimentichiamocelo, o sono tradizionalmente più time-to-market o sono dittature gonfie di denaro, che arriva da risorse energetiche o da bassi costi fi produzione e capacità di replicare innovazione, sono decisamente più veloci.
Del resto è famosa la battuta nella piazza finanziaria di Londra :”In US they innovate, in China they copy, in Europe you rule … often something already obsolete”.
E allora? Indipendentemente da ricette progressiste, liberiste, conservatrici e di altra natura, l’agenda europea va focalizzata su pochi temi, poco ideologici per aiutare l’Europa ad uscire dal suo decadentismo cronico. E per fare questo ci vuole una grande dose di real politik. E cioè capire i punti di forza e di debolezza dell’avversario, conoscere i propri limiti e adattare lo schema di gioco sempre, costantemente.
Usciamo dal dubbio amletico, affascinante da un punto di vista ontologico, ma soccombente nella nuova era. Del resto, come diceva Kissinger, maestro della real politik: “Quando è in atto una crisi, la passività non fa che accrescere l’impotenza: alla fine ci si trova costretti ad agire proprio sui problemi e nelle condizioni di gran lunga meno favorevoli”.
Dotiamoci di grande pragmatismo e ce la possiamo fare. Forza Europa tifiamo tutti per te!