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Blitz della Gdf a Brescia. Il collegamento tra droga e banche clandestine cinesi

Un’operazione internazionale guidata dalla Guardia di Finanza di Brescia ha portato all’arresto di 61 persone e smantellato un sofisticato sistema di riciclaggio gestito da una rete italo-cinese. I narcotrafficanti utilizzavano banche clandestine cinesi per trasferire il denaro proveniente dal traffico di droga. Le indagini hanno rivelato un complesso sistema di fatture false e rotte internazionali per l’importazione di cocaina dal Sud America

Due gruppi differenti che si sono uniti: uno italo-cinese e uno albanese; il primo riciclava il denaro, i secondi gestivano la droga. Così il colonnello Francesco Maceroni, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Brescia, ha raccontato ieri l’operazione che ha portato a 135 indagati e a sgominare un traffico internazionale di droga che ha portato all’arresto di 61 persone. Tra gli arrestati c’è anche il referente della Sacra Corona unita di Brindisi, Vincenzo Bruno, e il cassiere del clan al quale è stato sequestrato quasi un milione di euro in contanti. Erano in contatto con i vertici dell’associazione attiva in Albania e che vendeva cocaina che poi veniva importata in Italia da Paesi Bassi e Spagna.

Si è trattato di un’operazione internazionale, diretta dalla Procura di Brescia e con il coordinamento operativo del comando provinciale della Guardia di Finanza di Brescia e del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata delle Fiamme Gialle. Impegnati circa 400 militari, con cooperazione di Europol, Direzione centrale servizi antidroga, Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia, Ufficio dell’esperto per la sicurezza presso l’Ambasciata d’Italia a Tirana, forze di polizia albanesi, polacche e svizzere. Inoltre, c’è stato il supporto dell’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria.

Il gruppo criminale, basato in Albania e con diramazioni organiche sul territorio nazionale, avrebbe importato in Europa la sostanza stupefacente dal Sud America mediante l’utilizzo di rotte di navigazione commerciali per poi farla giungere in Italia – via Paesi Bassi e Spagna – mediante l’utilizzo di mezzi pesanti. Gli ingenti quantitativi di cocaina, una volta introdotti nel Paese, sarebbero stati immagazzinati – per la successiva distribuzione – in cinque basi logistico-operative, costituite dal sodalizio e dislocate principalmente nel distretto della Corte d’Appello di Brescia (Brescia, Romano di Lombardia e Palazzolo sull’Oglio) e in altri Comuni del centro-nord Italia (Varese e Pisa). All’interno dei citati hub, i responsabili dei depositi avrebbero proceduto alla raccolta del denaro contante ricavato dalla vendita dello stupefacente da consegnare a una parallela associazione di matrice italo-cinese, che avrebbe offerto un servizio bancario occulto per il trasferimento dei capitali illeciti all’estero – sono le cosiddette Chinese underground bank ormai da anni al centro dell’attività investigativa nelle Fiamme Gialle che lavorano sulle connessioni tra malavita italiana e straniera.

Il denaro proveniente dal narcotraffico sarebbe confluito, per il tramite di un cittadino di etnia cinese dimorante in provincia di Brescia, in un complesso sistema riciclatorio teso a “monetizzare” fatture false (pari a circa 375. milioni di euro) emesse da “imprenditori” compiacenti, si legge in una nota. Tale meccanismo, quindi, avrebbe determinato per i narcotrafficanti un triplice vantaggio rispetto ai più tradizionali sistemi di trasferimento dei contanti attuati attraverso il loro trasporto fisico tra le frontiere di diversi Stati: ridurre al minimo il rischio di essere scoperti nei controlli doganali e di polizia su strada, immettere nel circuito legale il provento del reato e risparmiare sulle provvigioni dovute ai trasportatori.


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