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Crisi globale e rapporti transatlantici. Quali prospettive per l’Occidente?

Dagli anni ’80 al post-11 settembre, fino alle sfide contemporanee e future dell’atlantismo, con particolare attenzione all’evoluzione geopolitica e alle dinamiche globali. Ecco cosa si è detto al convegno sui rapporti transatlantici organizzato dalla Fondazione Craxi

Negli ultimi decenni, l’evoluzione dei rapporti transatlantici ha rappresentato un tema centrale non solo per la comunità accademica e scientifica, ma anche per le dinamiche politiche e diplomatiche che hanno segnato il rapporto tra Europa, Italia e Stati Uniti. Per sviscerarlo nei dettagli, soprattutto facendo leva su nuove scoperte archivistiche e documenti emersi principalmente dagli Stati Uniti, la Fondazione Craxi ha organizzato un convegno intitolato, appunto, “La Rotta Transatlantica: i rapporti Europa-Stati Uniti dagli anni ottanta alle torri gemelle” tenutosi lunedì 30 settembre presso la Sala della Minerva del Senato della Repubblica.

Durante la giornata i lavori, promossi da accademici di diversa estrazione, si sono concentrati su due fasi storiche cruciali: il “lungo” decennio degli anni ’80, caratterizzato dalla presidenza di Ronald Reagan e dal rafforzamento dell’Occidente nella competizione con il blocco sovietico, e il periodo successivo alla fine della Guerra Fredda, quando l’Occidente, spinto da un ottimismo diffuso, immaginava un futuro di relazioni internazionali più pacifiche e ordinate. Se la prima fase ha visto un rilancio dei rapporti tra Europa e Stati Uniti come elemento strategico nella competizione con l’Unione Sovietica, la seconda ha reso il rapporto transatlantico più complesso, a causa di nuovi sviluppi interni e di un quadro internazionale sempre più fluido e conflittuale.

A chiudere il convegno, è stata organizzata una tavola rotonda con testimoni e rappresentanti istituzionali, che hanno offerto preziose riflessioni sul futuro delle relazioni tra le due sponde dell’Atlantico, sia dal punto di vista dell’Europa che di quello dell’Italia. Per la quale, come ha ricordato in apertura della tavola rotonda la presidente della Fondazione Margherita Boniver, “l’atlantismo è stato un elemento di continuità da De Gasperi in avanti”. La visione di Boniver è condivisa anche da Stefania Craxi, presidente commissione Esteri e Difesa del Senato della Repubblica, che sottolinea come il rapporto transatlantico sia “elemento imprescindibile per la nostra proiezione esterna”, e che il rapporto tra Stati Uniti e Italia è un “rapporto tra popoli”, sottolineando che “insieme abbiamo scritto alcune delle più belle pagine di storia della libertà”. Ma sarà così anche in futuro? La stessa Craxi delinea un orizzonte complesso in cui, in seguito al “brusco risveglio” dall’illusione della globalizzazione, si intravede “lo scontro globale del futuro” tra l’Occidente e i suoi competitors.

Certamente, le elezioni americane del prossimo 5 novembre giocheranno un ruolo importante nel decidere quale strada imboccheranno le relazioni tra i partner occidentali. Le principali differenze le riassume in modo conciso l’ambasciatore Michele Valensise, oggi presidente del Centro studi italo-tedesco “Villa Vigoni”: “Una candidatura Harris lascia prevedere continuità, mentre in caso prevalga Trump le incognite sono tante. Anche per via del suo approccio transazionale, che potrebbe non fare l’interesse dell’Europa. Non è possibile equiparare l’arrivo dell’uno o dell’altro alla Casa Bianca”. Il focus transazionale di Trump viene ripreso anche dal presidente dell’Istituto Affari Internazionali Ferdinando Nelli Feroci, che rimarca come di contrasto Trump non abbai molta simpatia per alleanze e multilateralismo. Suggerendo che “la sua politica estera sarà basata su un network di interessi bilaterali incentrati sugli interessi nazionali degli Usa”.

Ma la questione viene anche affrontata a maglie più larghe. “Il tema di una possibile presidenza Trump simboleggia una difficoltà che scaturisce dal cuore dell’Occidente” afferma Giovanni Orsina, professore di Storia contemporanea e Direttore della School of Government dell’Università Luiss Guido Carli, aggiungendo che questa difficoltà “getta la propria ombra sia sulla nozione stessa di Occidente, che sui rapporti tra l’Occidente e resto del mondo”.

Per questo, rimarca il presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale Franco Bruni, è necessario guardare ad un orizzonte di lungo periodo. Inserendo i rapporti transatlantici nel più ampio insieme dei complessi rapporti globali, e in particolare di quelli tra Usa e Cina. E non senza mai dimenticarsi del Global South, per cui noi Europei “Abbiamo una maggiore credibilità sia rispetto alla Cina che agli Usa. Almeno finché ci manteniamo coesi”.

Alla tavola rotonda è intervenuto per via telefonica anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in procinto di collegarsi a un incontro straordinario dei ministri degli Esteri dell’Unione europea incentrato sugli ultimi sviluppi in Medio Oriente. Dopo aver ripreso il concetto di strada condivisa del blocco euroatlantico, affermando che “siamo due facce della stessa medaglia che si chiama Occidente”, Tajani ha sottolineato come questo sia un “momento particolare per noi, con due guerre alle porte”, ricordando come sia giusto che l’Alleanza Atlantica guardi “anche al fianco Sud, e non soltanto al fianco orientale”. Anche per non lasciare che le autocrazie di Russia, Cina e Iran esercitino il loro predominio sul continente africano.



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