Da quando sono state imposte le limitazioni, i Paesi alleati hanno investito circa due miliardi di dollari in combustile russo. E c’entra la Turchia…
Quando si parla di guerra non tutti i percorsi sono lineari, tanto meno in un mondo globalizzato e ancora così dipendente dalle fonti di energia tradizionali. Da quando è iniziata l’invasione russa in Ucraina, l’Occidente si è schierato contro gli eccessi del governo di Vladimir Putin e la sua operazione militare. Dagli Stati Uniti all’Unione europea, i Paesi democratici hanno approvato una serie di sanzioni contro il regime russo per cercare di arginare il conflitto. L’obiettivo era chiaro: colpire le capacità del Cremlino e isolarlo dal punto di vista economico e politico, come precisa un’analisi di Abc.
Da febbraio del 2022, dunque, sono state attuate circa duemila sanzioni a imprese, istituzioni finanziarie e persone fisiche. Ma il dibattito è aperto: funzionano davvero? Probabilmente no, o almeno non come sono state pensate.
Un report del think tank Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea), anticipato da Politico, sostiene che, nonostante le sanzioni, i Paesi alleati hanno investito circa due miliardi di dollari in combustibile fatto da petrolio russo. E questo solo nella prima metà dell’anno 2024.
Vaibhav Raghunandan, esperto di energia e uno degli autori del report, ha spiegato ad Abc che “Bisogna fare una distinzione, perché questo vuoto legale delle sanzioni le fa diventare completamente legale, e allo stesso tempo ipocrita, poco etico e in contrapposizione con altre misure”.
Ma com’è possibile? La risposta è nelle lacune legali di queste sanzioni, che non impediscono acquistarlo attraverso paesi terzi che lo processano. La Turchia in primis, che secondo i dati sarebbe il terzo importatore di petrolio russo dopo la Cina e l’India.
Secondo il report, le importazioni di Paesi occidentali sono aumentate del 62% nel primo semestre del 2024. Romania, Stati Uniti, Spagna e Italia hanno acquistato combustibile fabbricato con petrolio russo in imprese turche. “La Turchia si è approfittato della situazione e degli sconti del crudo russo tra 5 e 20 dollari per barili per aumentare gli acquisti annuali a Mosca di circa 34% nel 2023 e 70% nel 2024”, si legge su Abc.
Per la Russia questo comporta entrate di circa centoventicinque milioni di euro al mese. Ma non risolve del tutto i problemi finanziari delle casse dello Stato russo.
Per risolvere questo vuoto legale, gli esperti propongono di vietare anche le importazioni di prodotti petroliferi fatti con combustibile proveniente dalla Russia. Questo potrebbe spingere alla Russia a cercare nuovi mercati – il che farebbe scendere i prezzi – e inviterebbe i paesi terzi a cercare materia prima altrove.