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De Gasperi non è di destra e l’Italia non è di sinistra. L’opinione Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Durante la presentazione del nuovo libro di Italo Bocchino, l’ex leader Dc è stato descritto come uomo di destra. Nulla di più sbagliato. Giancarlo Chiapello (segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare) spiega perché

L’Italia non è certamente un Paese di sinistra ma, senza dubbio non è neanche di destra in considerazione che, dopo il Risorgimento e la Resistenza, il partito che ha fatto l’Italia è stata la Democrazia Cristiana, il suo pensiero, la sua cultura, la sua radice. Spunto per questa considerazione, che vuole essere dichiaratamente polemica, è la presentazione che c’è stata a Roma del libro di Italo Bocchino, “Perché l’Italia è di destra”, alla presenza del presidente del Senato, Ignazio la Russa, in cui Alcide De Gasperi viene considerato uomo di destra.

La questione potrebbe chiudersi con la battuta di Lucio Caracciolo durante la trasmissione “Otto e Mezzo”, ossia, “Intanto io il libro non l’ho letto e non l’ho nemmeno scritto. Mettere insieme De Gasperi con la destra chiaramente è abbastanza paradossale. Amo i paradossi, ma questo mi pare un po’ troppo paradossale. In ogni caso, siccome la professoressa [Michela] Ponzani dice che ci sono anche delle buone parti, sono curioso di sapere quali siano”.

Il problema sta nel fatto che, a volte, a colpi di paradossi ci troviamo poi delle convinzioni: dunque serve chiarire subito.

Se rimanessimo dentro la polarizzazione destra/sinistra che cerca di comprimere la complessità sociale e ideale potremmo facilmente liquidare la questione con una battuta fulminante, ma densa di senso, di Gilbert Keith Chesterton: “Il compito dei progressisti è commettere errori; quello dei conservatori è di impedire che vengano emendati”. È importante, però, mettere dei punti fermi, ossia De Gasperi, padre della Patria e dell’Europa, era nell’ordine un cattolico, un popolare, un democratico cristiano, un patriota, un europeista.

Dunque, il nostro Paese è distante dal progressismo, dal pensiero della sinistra che si è evoluto sulla linea del moralismo della stagione berlingueriana che si trovò a fronteggiare la sconfitta storica del comunismo e secondo la previsione di Pier Paolo Pasolini contenuta nel discorso che avrebbe dovuto tenere al congresso radicale, non fosse stato ucciso la sera prima, che previde gli intellettuali progressisti quali nuovi chierici dei diritti civili come strumenti del potere borghese.

Si potrebbe anche citare l’ultimo libro di Stefano Davide Bettera, “Secondo Natura. Critica dell’ideologia liberal-progressista”, ma basti un passaggio di un suo articolo apparso sul Corriere della Sera: “A gran parte del pensiero progressista il popolo reale ha sempre fatto orrore. Il compromesso con la realtà concreta delle vite delle persone è inattuabile e l’interesse per le loro storie individuali è un cedimento al sentimentalismo non contemplabile in un quadro astratto di principi generali”.

Liquidata, così, la premessa di partenza, è possibile ragionare sul punto, non tanto ribadendo i passaggi della storia degasperiana, totalmente antifascita, dall’assunzione della segreteria del Partito popolare italiano dovuta all’esilio di don Luigi Sturzo, all’Aventino, all’incarcerazione e persecuzione da parte del regime, fino all’opposizione, che è un passaggio cruciale, alla mal definita “operazione Sturzo” (con il padre del popolarismo usato come nome) che avrebbe contemplato, alle elezioni comunali di Roma del 1952, l’alleanza tra Dc, monarchici e missini che, grazie a lui non avvenne (e rimase indicativa per i democristiani per 50 anni), alla sua tutt’altro che conservatrice visione sociale (vedi discorso in occasione delle “Grandes Conferences Catholiques”, Bruxelles, 20 novembre 1948) ed economica se si considera l’appoggio a Enrico Mattei, eccetera… ma andando al filo dell’azione, del pensiero e dell’identità.

Sull’azione basti l’interpretazione autentica della frase del suo braccio destro, Giulio Andreotti, a lui attribuita quale fondatore della Democrazia Cristiana, “partito di centro che guarda a sinistra” che, come ricordato dalla figlia Maria Romana De Gasperi, non significa “la sinistra” ma indica lo sguardo concreto alla dimensione sociale, che per lui era il solidarismo cristiano, in competizione con i social-comunisti, nel 1948, per sottrar loro l’influenza sul popolo senza cedimenti a destra.

Tale filo non può che partire dalla sua fede ed essendoci la causa di beatificazione in corso ci si può non dilungare limitandosi a ricordare come riconoscesse che il cuore della democrazia fosse cristiano: “L’amore si chiama socialmente fraternità ed esige lo spirito di sacrificio nel servizio della comunità. E qui siamo all’elemento più vitale. La democrazia, dice sempre [Henri] Bergson, è di essenza evangelica e ha come forza propulsiva l’amore”.

De Gasperi fu totalmente aderente al pensiero popolare, non solo ne fu interprete e realizzatore in una evoluzione nella storia data, ma ne espresse fedeltà tanto che vanno ricordate le parole di Sturzo contenute in quella straordinaria sintesi che è l’articolo “Il nostro centrismo” del 1923: “… il nostro centrismo non è una linea mediana fra i destri e i sinistri … il centrismo dei popolari non è una pura posizione parlamentare, come elemento di equilibrio fra una destra reazionaria e una sinistra socialista, o come semplice integrazione di governi liberal-democratici …per noi il centrismo è lo stesso che popolarismo, in quanto il nostro programma è un programma temperato e non estremo … e la ragione di questa posizione teorica ha la sua origine in un presupposto che caratterizza la ragione etica della vita quale la vediamo noi al lume del cristianesimo … Destra o sinistra? Ma che c’importa della topografia! Chiamatela come vi pare, per noi è battaglia oggettiva, concreta, logica, che risponde ai nostri principii, ai nostri postulati, alle esigenze politiche del nostro partito”. Come sintesi, il nostro così riassumeva: “Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale”.

Sono queste le basi solide di un uomo di confine, che sa essere patriota – statista della difesa e ricostruzione dell’Italia – senza mai essere un nazionalista, cosa che, altrimenti, avrebbe contraddetto la sua identità cattolica e impedito di sviluppare, a partire dalla sua esperienza di uomo di confine, che inizia nel multietnico parlamento austro-ungarico, in quella zona carolingia in cui sono cresciuti i padri fondatori democristiani dell’Europa, l’idea della “Comune patria Europa” sviluppata dopo di lui da Amintore Fanfani, Aldo Moro, Andreotti, Emilio Colombo, Giorgia La Pira, Ciriaco De Mita.

Bocchino, in ultimo, ha torto ma il problema sta in quella ultima classe dirigente democristiana e popolare che per resistere a oltranza ha rinunciato al partito, all’autonomia, si è dispersa a destra e a manca a servizio di tutti e così dando in pasto una storia ed identità a chiunque. Serve la riconnessione originale e coerente della lezione degasperiana al Partito popolare europeo, all’Europa, perché solo passando da Bruxelles, da popolari e democristiani autonomi così capaci di alleanze, sempre contingenti, si può ritornare a Roma organizzati e sostenuti dai giovani, si può tornare a Roma dove invece di pensare di intitolare al grande democristiano un palazzo (vedasi che fine ha fatto Palazzo Sturzo, dimenticato) serve sfidare destra e sinistra e proporre di rendere il 18 aprile 1948, data delle elezioni che completano la liberazione dal nazi-fascismo e lo scampato pericolo dal social-comunismo con la vittoria della libertà per via democratica, suo capolavoro, ricorrenza nazionale.



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