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Competitività e meno interdipendenza. Le istruzioni di Melani

Di Maurizio Melani

Gli innegabili problemi della transizione vanno realisticamente affrontati con opportune politiche industriali e sistemi di sostegno alla riconversione di impianti e risorse umane, oltre che con compensazioni e adeguati ammortizzatori sociali. Ciò può essere evidentemente fatto soltanto a livello europeo, con un bilancio di dimensioni adeguate alimentato da risorse proprie e con una capacità di indebitamento buono, secondo la definizione di Draghi. Il commento dell’ambasciatore Maurizio Melani, nell’ambito del dibattito aperto dal Gruppo dei 20 su “L’Europa ad una svolta”

Le tendenze in corso nel mondo verso il perseguimento di vantaggi competitivi appaiono destinate a produrre, anche secondo alcune affermate intenzioni, riduzioni di interdipendenze utili ad assicurare una maggiore autonomia strategica da aree emergenti, ed in particolare dalla Cina definita nei documenti dell’Ue rivale sistemico oltre che partner strategico.

Una questione da porsi è quella degli effetti che ciò potrà avere sul piano geopolitico, della sicurezza globale e degli interessi complessivi dell’Europa e nel suo ambito dell’Italia. Ed è probabile che chiusure commerciali facciano crescere tensioni con conseguenze negative sulle esigenze di collaborazione in merito a beni o ad obbiettivi che dovrebbero essere comuni come il contrasto ai cambiamenti climatici, la regolamentazione dell’intelligenza artificiale e quella del commercio internazionale facendo funzionare il Wto, il controllo degli armamenti, quelli cyber inclusi, la gestione dei flussi migratori e quella di crisi regionali evitandone l’estensione.

Le tensioni potranno essere aggravate dalla crescita di forze sovraniste, nazionaliste, identitarie, escludenti e colluse con le politiche aggressive della Russia. Crescita certamente non inarrestabile ma in grado di alterare alcuni equilibri. Tali forze danno risposte sbagliate a problemi reali come quelli degli effetti su settori vulnerabili delle nostre popolazioni di una cattiva o carente gestione dei processi di globalizzazione, della rivoluzione digitale, della transizione energetica e dei fenomeni migratori.

Dare ascolto alle loro ricette avrebbe ulteriori effetti negativi sulle questioni che si dovrebbero affrontare e che sono alla base della loro comunicazione politica e dei consensi che attraverso questa sono in grado di acquisire. Significative sono quelle sull’immigrazione di cui le nostre economie hanno bisogno in vari settori produttivi e per la sostenibilità e il funzionamento di sistemi di welfare, come sottolineano, per quanto riguarda il nostro paese, Istat, Banca d’Italia, Inps e organizzazioni industriali e sindacali.

Tali ricette sono basate su blocchi, respingimenti ed espulsioni di difficile realizzazione senza consistenti e funzionanti canali di migrazione legale anche in considerazione del rilievo che hanno le rimesse per lo sviluppo dei paesi di provenienza, oltre che sullo smantellamento o il depotenziamento dei sistemi di accoglienza e integrazione. Esse finiscono con il produrre più illegalità, emarginazione, lavoro nero, sfruttamento, criminalità e insicurezza. Proprio quelle criticità che si vorrebbero contrastare.

Lo stesso vale per la transizione ecologica ed energetica i cui invocati arretramenti produrrebbero effetti negativi sulle prospettive di competitività di sistemi produttivi in un mondo che con la trazione di Cina e Stati Uniti, salvo per questi ultimi non auspicabili inversioni di rotta dopo le elezioni americane, vanno verso la decarbonizzazione e le mutazioni tecnologiche, nelle produzioni di beni e servizi e nei comportamenti che queste implicano, considerata la gravità della questione climatica sotto tutti i profili.

Gli innegabili problemi della transizione vanno realisticamente affrontati con opportune politiche industriali e sistemi di sostegno alla riconversione di impianti e risorse umane oltre che con compensazioni e adeguati ammortizzatori sociali. Ciò può essere evidentemente fatto soltanto a livello europeo, a 27 o se non fosse possibile in un gruppo più ristretto, con un bilancio di dimensioni adeguate alimentato da risorse proprie e con una capacità di indebitamento buono, secondo la definizione di Draghi, chiaramente diretto a sostenere la competitività.



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