L’espansione delle attività di spionaggio cinese, documentata da fonti di intelligence occidentali e sottolineata dal Wall Street Journal, evidenzia la minaccia ibrida che Pechino rappresenta per le democrazie globali. Nonostante la crescente consapevolezza dei rischi, la rete di influenza economica e politica della Cina rimane difficilmente contenibile, richiedendo nuove strategie di difesa e una maggiore attenzione da parte delle imprese e dell’opinione pubblica
La portata e l’intensità delle attività di spionaggio cinese sono senza precedenti, secondo diversi governi occidentali. È quanto emerge da un articolo del Wall Street Journal, secondo cui Pechino ha mobilitato per l’offensiva agenzie di sicurezza, aziende private e civili cinesi “nel tentativo di indebolire gli Stati rivali e rafforzare l’economia del Paese”.
Come sottolineato dal quotidiano, raramente trascorre una settimana senza un allarme da parte di un’agenzia di intelligence occidentale riguardo alla minaccia rappresentata dalla Cina. Soltanto il mese scorso, l’Fbi ha affermato che una società legata allo Stato cinese ha compromesso 260.000 dispositivi connessi a Internet, tra cui telecamere e router, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia, in Romania e altrove. E ancora: un’inchiesta del Congresso federale statunitense ha concluso che le gru cinesi utilizzate nei porti statunitensi contengono tecnologia che potrebbe consentire a Pechino di controllarle da remoto e di monitorare il traffico. Il caso dell’ex assistente della governatrice di New York, Kathy Hochul, accusata di essere un agente cinese, racconta la penetrazione nei processi decisionali. Infine, la scorsa settimana, i funzionari statunitensi hanno avviato uno sforzo intergovernativo per comprendere la portata e le conseguenze di un vasto attacco informatico cinese, che ha compromesso – tramite una backdoor lasciata aperta secondo quanto richiesto dalla legge americana – i sistemi utilizzati dal governo federale per le attività di intercettazione e sorveglianza telefonica autorizzate dai tribunali.
Secondo l’Fbi, la Cina dispone di un esercito di hacker che supera per numero di almeno 50 volte il totale del personale informatico dell’agenzia statunitense. Un’agenzia europea stima che le operazioni di raccolta informazioni e sicurezza cinesi potrebbero coinvolgere fino a 600.000 persone. “Il programma di hacking della Cina è più grande di quello di ogni altra grande nazione messo insieme”, ha affermato Christopher Wray, direttore dell’Fbi, a inizio anno.
Il Wall Street Journal si sofferma poi sulla minaccia ibrida posta dalla Cina. A differenza di autocrazie come l’Iran o la Russia, il commercio con la Cina ha supportato per decenni la crescita economica occidentale, che a sua volta sostiene la sicurezza a lungo termine dell’Occidente. Per questa ragione, afferma il giornale, la maggior parte dei Paesi semplicemente non può permettersi di infliggere sanzioni alla Cina ed espellere i suoi diplomatici come accaduto con la Russia per l’invasione dell’Ucraina o con l’Iran per il programma nucleare e il sostegno al terrorismo. Per questo, le agenzie di spionaggio occidentali, “incapaci di contenere l’attività di Pechino”, si sono decise a lanciare allarmi pubblici, esortando imprese e individui a prestare attenzione nei loro rapporti con il Paese asiatico: un’impresa pressoché impossibile, affermano esperti citati dal quotidiano, che sottolineano il profondo radicamento della Cina nell’economia globale.
Ne ha parlato pubblicamente a inizio anno anche Elisabetta Belloni, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, intervenuta al Raisina Dialogue, a Nuova Delhi, in India, a un dibattito sul de-risking e sulla Cina svoltosi dopo poco l’annuncio della decisione italiana di non rinnovare memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta. “Le vulnerabilità hanno dimostrato al governo l’importanza delle politiche di de-risking”, aveva evidenziato l’ambasciatrice. Ma, aveva proseguito, “non sono sicura che l’opinione pubblica e le aziende, nel mio Paese e probabilmente anche in altri Paesi, abbiano la stessa consapevolezza”. Per questo, “è necessario lavorare sulla consapevolezza delle aziende e dell’opinione pubblica”, ha concluso.
Nel corso dell’anno scorso la Cina e la Russia si erano “confermate tra i principali attori della minaccia ibrida, in grado di condurre campagne in danno dei Paesi occidentali sfruttando alcune delle caratteristiche sistemiche che connotano le nostre società, quali l’apertura dei mercati e le garanzie di libertà e indipendenza dei media”, si leggeva nella Relazione annuale 2023 sulla politica dell’informazione per la sicurezza. La Cina, recita il documento, sfrutta “un ventaglio di leggi nazionali” (come per esempio la recente legge sul controspionaggio) e “i principali vettori della minaccia ibrida impiegati fanno affidamento anche su alcuni elementi della diaspora cinese nell’Unione europea”. Ecco gli obiettivi: “Raccogliere informazioni di pregio; mettere in atto azioni di pressione economica; penetrare e interferire all’interno del mondo accademico e della ricerca; condurre operazioni cibernetiche ostili con maggiore efficacia; manipolare l’informazione per finalità di propaganda e per orientare, in modo favorevole alla Cina, l’opinione pubblica europea”.