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#QuerelaConPaola, ecco come risponde Twitter a Paola Ferrari

Twitter non perdona e guai ad attaccarlo. Lo deve aver capito Paola Ferrari, conduttrice di Rai Sport, bersaglio nelle settimane degli Europei di tweet con “epiteti anomimi e offensivi, alcuni dei quali irripetibili, con pesanti allusioni fisiche, insulti riferiti all’età e a presunti rifacimenti estetici”. Oggi la giornalista si è sfogata a Klauscondicio, il programma di Klaus Davi su Youtube e ha annunciato di voler citare Twitter per diffamazione, chiedendo un maxi risarcimento che, se ottenuto, andrà totalmente a favore delle famiglie delle vittime del terremoto in Emilia.
 
“Lavoro nel giornalismo da più di 30 anni e da 20 in Rai – ha spiegato – e ho sempre accettato le critiche, anche quelle più dure e a mio avviso immotivate, ben sapendo che fanno parte del gioco. Tuttavia con questo atto voglio dire un no chiaro. Il web non può diventare solo una bacheca della diffamazione anonima, dell´insinuazione volgare e del razzismo solo perché nel web c´è la libertà di espressione. Non è giusto usare la rete e i social network per insultare le persone, senza la possibilità di un contraddittorio, e questo accade soprattutto con Twitter. Se il web e i blog vogliono giocare un ruolo serio nell´informazione, allora devono comunque attenersi alle regole deontologiche di base e alle norme civili che valgono fuori dalla rete. Nessuno si riunisce pubblicamente per diffamare o insultare qualcun altro o, se lo fa, per lo meno è passibile di denuncia. Ecco, credo allora che la cosa valga anche per Twitter”.
 
Non l´avesse mai fatto. Su twitter è scoppiata la Paola Ferrari mania e le ironie sulla sua decisione perché “è come querelare il telefono, internet o i segnali di fumo”. Tanto da inventarsi l’hashtag al numero uno dei trending topic #querelaconpaola in cui gli utenti del social network si sono divertiti a inventare le querele più disparate.
 
Abbiamo chiesto un parere sull’argomento a Ruben Razzante, docente di diritto dell´informazione all´Università Cattolica di Milano:
“Il caso Ferrari ripropone il delicato problema della tutela dei diritti della personalità in Rete. Non esistono norme che equiparino la libertà d´espressione in Rete ai media tradizionali. Il diritto in questo senso ha le armi spuntate e la giurisprudenza degli ultimi anni non offre punti fermi. Una sentenza del tribunale di Monza del 2010 ha punito chi aveva postato alcune frasi offensive sulla sua ex fidanzata; in un caso analogo era intervenuta anni fa la polizia postale per far rimuovere da Facebook una foto coperta da privacy. Resta il fatto che la responsabilità civile e penale per i post pubblicati sui blog o sui social network come twitter rimane una chimera”.
 
Per questo, vista la natura transnazionale della Rete, secondo Razzante, “non rimane altro che affidarsi all´autodisciplina dei gestori di questi nuovi media affinché rimuovano i contenuti palesemente offensivi, scongiurando il rischio di una improvvida coincidenza tra libertà d´espressione e libertà d´insulto. Forse,con un codice penale internazionale e con un codice deontologico sottoscritto, quanto meno in sede europea ,da tutti i gestori dei social network, casi come quello Ferrari potrebbero essere almeno in parte contenuti”.


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