Secondo la stima di OpenEconomics, i 21,1 miliardi di euro di Pnrr hanno generato effetti potenziali sul Pil di 49,6 miliardi di euro, l’equivalente di 701mila posti di lavoro a tempo pieno e 15,1 miliardi di entrate fiscali. Lo spiega a Formiche.net Pasquale Lucio Scandizzo
La stima degli effetti delle policy di investimento e le analisi del rapporto tra costi e benefici è cruciale, specialmente quando nel dibattito pubblico i numeri vengono utilizzati in modo improprio. Si tratta di analisi complesse che vanno, quindi, studiate, contestualizzate e utilizzate con cautela.
Partiamo dal moltiplicatore, che non è l’indicatore di un rapporto costi-benefici, ma il rapporto tra l’incremento del Pil (della produzione, dell’occupazione, o di altre variabili da specificare) e dell’incremento dell’investimento, entrambi misurati rispetto a una situazione alternativa su un periodo variabile da pochi mesi ad alcuni anni. Questo rapporto è molto diverso dalle misure che vengono proposte come verifiche ex post e che invece dividono l’incremento del Pil realizzato per l’incremento delle spese di investimento rispetto ai valori dell’anno precedente.
Le ragioni della diversità sono molte e non ci sembra questa la sede migliore per approfondirle. Basti dire che, in genere, il moltiplicatore si dispiega gradualmente su più anni e che la sua misura dipende essa stessa dalla teoria economica che si utilizza per analizzarlo. Nonostante le controversie al riguardo siano numerose e risalgano fino alla prima nozione di moltiplicatore enunciata da Keynes, esiste un sostanziale consenso di una vasta platea di economisti sugli ordini di grandezza del moltiplicatore stesso e sulle variabili che lo determinano.
Nel caso del Pnrr, il Paese sembra essere riuscito a realizzare una performance soddisfacente nella sua implementazione nel cosiddetto periodo di cantiere degli investimenti previsti, spendendo una quota consistente dei fondi disponibili e completando una parte rilevante dei progetti relativi a tale spesa. La Commissione europea ha infatti approvato la quinta rata del Pnrr all’Italia, con 269 traguardi raggiunti su 618. Il 26% della spesa risulta effettuato, con un terzo dei progetti in ritardo, ma il 42% appare vicino al completamento, con notevoli eterogeneità territoriali. Posto che gli effetti più rilevanti sul tasso di crescita debbono attendersi dall’incremento di produttività generato dalla combinazione inedita di progetti e riforme, è però interessante domandarsi qual è il presumibile effetto della spesa sulla domanda aggregata.
Questo perché siamo in un momento congiunturale delicato, e l’impulso di domanda dato da un incremento inedito di investimenti pubblici può essere di grande aiuto per l’Italia se riesce ad aumentare non solo i consumi, ma anche gli investimenti privati.
Per questa ragione, OpenEconomics si è posta l’obiettivo di valutare gli effetti potenziali della spesa realizzata attraverso i tre canali che il Pnrr dovrebbe riuscire ad attivare: (1) maggiore domanda di beni e servizi produttivi, attraverso l’attivazione dei settori direttamente e indirettamente coinvolti, (2) maggiore occupazione, redditi e consumi delle famiglie, (3) maggiori investimenti privati.
L’analisi è riferita al 2023 e tiene conto di tutte le spese dello stesso anno limitatamente al periodo di cantiere. Esse, quindi, sono generate nel periodo considerato, ma i loro effetti non si dispiegano istantaneamente e saranno distribuiti sia nello stesso periodo, sia nei periodi successivi secondo un profilo temporale che sarà determinato, tra l’altro, dall’andamento della congiuntura internazionale.
Secondo la stima di OpenEconomics, i 21,1 miliardi di euro di Pnrr hanno generato effetti potenziali sul Pil di 49,6 miliardi di euro, l’equivalente di 701mila posti di lavoro a tempo pieno e 15,1 miliardi di entrate fiscali. Se questi effetti potenziali si materializzano e non sono ridotti o annullati da fenomeni negativi quali le restrizioni monetarie o la contrazione di altre componenti della domanda aggregata, il moltiplicatore totale generato potrebbe essere elevato, anche superiore a 2, come indicato.
La categoria dei maggiori investimenti privati indotti dal Pnrr è essenziale per capire perché il moltiplicatore stimato potrebbe sembrare eccessivo, quando in realtà non lo è perché comprende, a differenza della spesa pubblica generale, un effetto complementare programmato sugli investimenti privati indotti e anche su alcuni investimenti pubblici.
Si tratta, cioè di un “super-moltiplicatore” in cui i fondi pubblici dovrebbero funzionare (come nel Piano Junker) come una leva per gli investimenti privati. La procedura di stima si è concentrata sugli effetti della spesa e sulla sua distribuzione regionale, e deve considerarsi una misura preliminare degli effetti potenziali, rispetto a una situazione controfattuale che potrebbe essere anche molto peggiore della media europea.
Essendo un esercizio preliminare, inoltre, la stima non ha integrato evidenze econometriche, ma una matrice di contabilità sociale (basata su dati Istat aggiornati) con granularità settoriale e geografica particolarmente approfondita in virtù della maggiore eterogeneità della stima di spesa. Più che nel livello dei moltiplicatori stimati, il valore dell’esercizio sta nel fornire una misura preliminare dei limiti e delle tendenze distributive degli impatti del programma di investimenti, in un contesto di diseguaglianze regionali reso più rilevante dalle prospettive dell’autonomia differenziata.
A questo punto è opportuno fare alcune considerazioni per chiarire il significato e la portata di questi esperimenti di valutazione. Innanzitutto, i risultati debbono interpretarsi come effetti potenziali della espansione della domanda indotta di beni e servizi generata dal Pnrr. Questi effetti potrebbero essere ridotti da un contesto economico che, a differenza del Superbonus, non presenta un’abbondante liquidità e un basso livello di occupazione e di utilizzazione degli impianti. Colli di bottiglia ed altre difficoltà potrebbero inoltre manifestarsi come conseguenza dell’affollamento dei progetti e di altri effetti negativi, quali lo spiazzamento di investimenti alternativi. Gli effetti potrebbero essere ridotti anche da cambiamenti nelle aspettative degli investitori privati, la cui reazione complementare è compresa nella stima. Inoltre, l’analisi non considera eventuali politiche o eventi internazionali negativi i cui effetti potrebbero diminuire il contributo del Pnrr. D’altra parte, non considera neppure potenziali effetti positivi quali per esempio quelli della maggiore efficienza dei servizi pubblici determinata dalle riforme realizzate.
In definitiva, il moltiplicatore stimato non è una previsione, ma l’indicatore di effetti potenziali. Per il Pnrr, pur essendo in una fase iniziale del programma, è importante che questi effetti vengano compresi e non siano sottostimati. Il Pnrr, infatti, oltre ad essere una occasione unica per rilanciare la crescita economica per l’Italia, rappresenta una prospettiva di medio-lungo termine, che combina effetti di domanda e di offerta in maniera complementare. Esso offre l’opportunità di incorporarne le caratteristiche principali in un piano strutturale di medio-lungo termine, tracciando così un sentiero di crescita persistente, e il cui successo dipende anche dalla risposta degli agenti economici e dalla fiducia nella sua validità da parte degli investitori pubblici e privati.
Per quanto imperfette, le nostre stime preliminari hanno l’obiettivo di contribuire alla comprensione e al monitoraggio degli effetti produttivi e distributivi del Piano. In un senso più ampio, esse fanno parte dei segnali che la realizzazione del Piano può fornire agli operatori economici per monitorarne l’esecuzione, rassicurarli sul suo progresso e per stimolarli alla partecipazione.