Nel momento del tripudio, mentre si esaltavano senza rete le proverbiali posture di Trump, le sue seduzioni in forma biondo-capelluta e le sue facce bulle da studentello di qualche high school per ricchi, forse bravino nel baseball ma parecchio a desiderare nel profitto, si notava un’assenza: quella di Elon Musk. Ma si è trattato di un’assenza che ha riempito in modo dirompente il palco del Convention Center di Palm Beach
Il sentiment che circolava in sala lo hanno rivelato il linguaggio non verbale e la stessa prossemica nelle battute autocelabrative, dopo l’acquisizione del risultato: lì sul palco la famiglia, la sontuosa first lady, la progenie, i fidati collaboratori, i masticatori di chewing gum, il suo giovane – ma ancora più falco del Donald – vice, tutti col diritto di cantare per un minuto la sconfinata grandezza del quarantasettesimo presidente.
Nel momento del tripudio, mentre si esaltavano senza rete le proverbiali posture di Trump, le sue seduzioni in forma biondo-capelluta e le sue facce bulle da studentello di qualche high school per ricchi, forse bravino nel baseball ma parecchio a desiderare nel profitto, si notava un’assenza: quella di Elon Musk. Ma si è trattato di un’assenza che ha riempito in modo dirompente il palco del Convention Center di Palm Beach, nella Florida tanto amata dal tycoon-presidente. E non solo per l’evocazione, vibrante di suggestione cinematografica “A Star is Born” (“È nata una stella”, film del 1937 e remake del ’54, ’76 e 2018, ormai un posto fisso nell’immaginario americano e mondiale), fatta da Donald all’indirizzo del re Mida della tecnologia digitale e dell’AI, ma anche per il significato che l’outing fatto da Musk in questa campagna elettorale assume, e per l’azione svolta attraverso le sue risorse.
Stiamo parlando di una rivoluzione copernicana che ha visto entrare in scena in modo massivo social e AI, al punto da sconvolgere tutti i canoni, fino ad oggi accolti, riferiti ai processi di formazione di un’opinione politica e dunque di una scelta consapevole. Se fino a ieri i sondaggi elettorali potevano consentire, con l’approssimazione che la scienza demoscopica ha sperimentato, una plausibile probabilità valutativa della competizione, da oggi in poi dimentichiamolo: le risposte ai sondaggi non sono più veritiere, e non per – come forse intende qualche commentatore – il timore di critiche a causa della scelta, nossignore. L’invito al nascondimento parte dalla stessa fonte che elabora la strategia elettorale attraverso i social e l’AI, quella che imposta, attraverso l’appello alla paura, la diffusione di fake, la semplificazione estrema dei concetti, oltre la tollerabilità stessa della loro scomposizione, l’affermazione dello schema binario dell’algoritmo, che non ammette possibilità intermedie.
È l’esaltazione del conflitto bipolare, della lotta senza quartiere, quella che non prevede prigionieri ma solo il vincitore perché il competitor non rappresenta solo lo sconfitto, ma è colui al quale deve essere tolto lo scalpo. In questa nuova fase della lotta politica ad ogni latitudine del globo, il posizionamento “ideologico” rappresenta una questione persino trascurabile: possiamo anche fare fatica a condividere la visione politica di Donald Trump, ma in fondo lui stesso è un reperto del passato, al netto dell’anagrafe che fa di lui il più vecchio presidente della storia degli Usa. È parecchi passi indietro anche la dimensione del suo essere un capitalista, al pari di altri suoi colleghi dell’imprenditoria americana che ha a che fare con prodotti concreti, gli stessi che avevano riempito il portafoglio di Harris nella raccolta fondi per la campagna elettorale, facendo presagire, come sempre è avvenuto in passato, un vantaggio dei democratici anche nella competizione vera.
Non è andata così: ha vinto la nuova economia digitale di Elon Musk e co.. Per capire quanto sia vero basta dare un’occhiata ai titoli delle società in mano agli over the top che hanno visto le big tech americane schizzare verso l’alto. È una nuova era, sanzionata dalla discesa in campo della nuova stella. Si chiama Musk, è il primo nella lista dei più ricchi e ha voglia di protagonismo. La politica, quella vera, è troppo indietro.