Forse è arrivato il momento che la sinistra salottiera, aristocratica e alto borghese – compresa, e soprattutto, quella italiana – si ponga una semplice domanda: ma dove votano e per chi votano i ceti popolari? La riflessione di Giorgio Merlo
Abbiamo visto com’è finito il voto americano. Smentiti i sondaggisti, rinnegati gli appelli del circo mediatico miliardario a favore di Kamala Harris, massiccio investimento dei ceti popolari su Donald Trump e, infine, la perdurante incapacità della sinistra americana di saper intercettare i bisogni, le istanze e le domande proprio di quei ceti popolari che si vanta di rappresentare.
Ora, è decisamente difficile tracciare dei confronti tra le elezioni americane e quelle che si svolgono in Italia o negli altri Paesi europei, anche perché ogni Paese fa storia a sé anche se ci sono delle costanti che non si possono facilmente rimuovere. Difficile perché non è possibile, di fatto, individuare degli elementi strutturali che si possono confrontare. Dal sistema elettorale all’assetto politico, dal confronto tra i candidati al profilo delle società. Ma c’è un elemento, forse marginale ma sino ad un certo punto, che non possiamo non richiamare e ricordare. E riguarda, appunto, il cosiddetto voto popolare, o dei ceti meno istruiti o meno scolarizzati e sicuramente meno vezzeggiati dai media che hanno scelto massicciamente Trump.
Almeno questo dicono unanimemente i sondaggisti e gli esperti dei flussi elettorali dopo la vittoria schiacciante del miliardario repubblicano. E che, guarda caso, già non votarono Hillary Clinton contro Trump. “Spazzatura” il termine usato recentemente da Biden rivolgendosi a chi votava Trump e lo stesso giudizio venne espresso più o meno da Hillary Clinton quando lo sfidò alcuni anni fa. Insomma, si può dire tranquillamente, e senza alcuna polemica specifica o pregiudiziale, che c’è una sorta di disprezzo congenito della sinistra americana – e anche e soprattutto di quella italiana e di altri Paesi europei – nei confronti di un elettorato ritenuto non all’altezza per scegliere un candidato, un partito, uno schieramento o un progetto politico e di governo.
E proprio questo è un tema che puntualmente fa saltare i sondaggi – di norma sempre compiacenti – e che evidenzia l’incapacità strutturale di chi pensa di rappresentare organicamente e fideisticamente i ceti popolari, i meno abbienti e gli ultimi e poi si accorge, dopo il voto, che questo non è accaduto. E il voto americano di questi giorni lo ha evidenziato, e per l’ennesima volta, in modo persin plateale. Un vezzo e una deriva, questi, che trovano piena cittadinanza anche nel nostro Paese. E non solo. A conferma che non può mai essere confuso con il consenso reale e popolare la vulgata del “politicamente corretto”, la moda dei messaggi e delle dichiarazioni degli attori, dei conduttori televisivi milionari, degli opinionisti a gettone, dei cantanti e degli artisti alto borghesi, della rete culturale forte e convinta della propria superiorità morale e politica, dei maitre a penser eternamente arroganti e presuntuosi.
Insomma, per capirci, quel circo mediatico, politico, culturale, giornalistico, accademico e televisivo che storicamente individua nella sinistra salottiera, aristocratica ed alto borghese l’unica classe dirigente titolata a governare. Il resto, appunto è solo “spazzatura”. Così è stato nel nostro Paese per quasi 50 anni con la Democrazia cristiana; così è stato soprattutto con Berlusconi e così forse è anche adesso, e a maggior ragione, con l’attuale centro destra. Per queste semplici ragioni e al di là del profilo, del progetto e del messaggio politico di Trump e delle possibili ricadute che la sua vittoria potrà avere per il nostro Paese e per l’intera Europa, forse è arrivato anche il momento che la sinistra salottiera, aristocratica e alto borghese – compresa, e soprattutto, quella italiana – si ponga una semplice domanda: ma dove votano e per chi votano i ceti popolari?