In Europa occidentale prevale una visione catastrofica del ritorno di The Donald alla Casa Bianca sottolineando i rischi per la sicurezza e la difesa senza proporre soluzioni concrete. Kyiv, invece, mostra una resilienza derivante dalle esperienze storiche e una prospettiva più speranzosa. È anche il frutto della frustrazione verso la politica dell’amministrazione Biden, spiega la responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali
Per capire come potrà impattare la prossima amministrazione statunitense sulla guerra in Ucraina Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali, suggerisce di guardare alle diverse accoglienze ricevute dal presidente eletto Donald Trump.
Quali sono le differenze più importanti?
L’approccio dell’Ucraina e dell’Europa orientale si contrappone alla tendenza del resto d’Europa che ha mostrato un atteggiamento più pessimista e auto-commiserativo. In Europa occidentale, il ritorno di Trump è visto come una catastrofe che comporta nuove sfide per la sicurezza e la difesa europea, ma raramente vengono avanzate soluzioni concrete per raggiungere un’autonomia strategica. Gli ucraini, al contrario, mostrano una prospettiva più speranzosa, frutto di una resilienza che nasce dalla consapevolezza dei momenti storici attraversati dal loro Paese. Abbiamo affrontato momenti peggiori nel XX secolo, come l’Holodomor, e siamo sopravvissuti, e supereremo anche questa sfida, dicono. Inoltre, tendono a essere meno catastrofici perché sono frustrati dall’attuale politica portata avanti dall’amministrazione Biden in accordo con il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Come mai?
Questa politica è stata percepita come un percorso che porterebbe a una morte lenta per Kyiv. Al contrario, molti ucraini vedono Trump come una scommessa. Un funzionario del ministero della Difesa ucraino, citato dal Guardian, ha detto che con Trump “possiamo o vincere alla grande o perdere alla grande”. In altre parole, il suo approccio imprevedibile potrebbe portare a cambiamenti significativi, sia in positivo sia in negativo, ma comunque diversi dall’attuale status quo percepito come insoddisfacente.
Che cosa può cambiare con il passaggio di consegne alla Casa Bianca?
Non conosciamo con certezza quale sia il piano di Trump; possiamo solo speculare basandoci su quanto emerso dalla stampa. Per esempio, il Wall Street Journal ha riportato che un possibile approccio includerebbe il congelamento del conflitto senza un riconoscimento formale delle zone occupate de facto, un aspetto che va oltre la sola volontà di Trump. Questo piano prevederebbe anche la demilitarizzazione con l’invio di peacekeepers europei e il rinvio dell’adesione dell’Ucraina alla Nato di 20 anni, mentre gli Stati Uniti continuerebbero a fornire armi a Kyiv per prevenire un nuovo attacco russo. Questo ipotetico piano non sembra differire molto da quello portato avanti dall’amministrazione Biden e dal cancelliere tedesco Scholz a giudicare dalle armi inviate in termini di qualità, quantità e tempistiche. In questo senso, la differenza tra Biden e Trump potrebbe essere minima e limitata ai toni e alla retorica, piuttosto che alla sostanza della strategia.
Trump si sta mostrando attivo, anche alla luce delle sue promesse in campagna elettorale di mettere fine al conflitto in 24 ore. Che cosa potrà fare?
Sebbene sia realistico immaginare che Trump possa fare il primo passo verso un piano di congelamento del conflitto, è necessario che la Russia sia d’accordo per portarlo avanti. Tuttavia, dai dettagli emersi nell’articolo del Wall Street Journal, è difficile pensare che Putin possa accettare quelle proposte. Per esempio, la demilitarizzazione rappresenta un punto totalmente inaccettabile per lui. Se fosse una guerra soltanto territoriale per Putin, egli dovrebbe aspirare al controllo totale delle regioni di Donetsk e Luhansk, ma attualmente non controlla circa il 40% di Donetsk. Ma che cosa direbbe Trump a Zelensky? Dovrebbe chiedergli di ritirarsi da quel 40% di Donetsk? Ma la questione va oltre il semplice controllo territoriale. L’obiettivo principale di Putin è esercitare un’influenza sul processo decisionale a Kyiv, un punto che nessun piano di congelamento del conflitto, così come prospettato, potrebbe realisticamente soddisfare. Poi c’è il tema delle sanzioni.
Cioè?
Le sanzioni statunitensi hanno un peso significativo, in particolare quando colpiscono le terze parti che aiutano Mosca a eluderle. A pesare di più, però, sono quelle imposte dall’Unione europea, su cui Trump non può fare molto. Tuttavia, anche negli accordi precedenti con la Russia, il ritiro delle sanzioni era legato al ritiro delle truppe. Lo stesso approccio si potrebbe immaginare in questo caso, ma appare un’ipotesi alquanto remota. Il motivo risiede nel fatto che per Putin l’unico modo per mantenere in piedi il suo sistema è attraverso un’economia di guerra. Si tratta di un circolo vizioso: la guerra diventa il mezzo indispensabile per mantenere il potere e sostenere l’economia, creando una dinamica in cui il conflitto è sia il problema che la soluzione. Per questo motivo, la posizione russa è chiara: con o senza Trump, senza soddisfare gli obiettivi primari della Russia, non ci sarà alcun accordo.
In che posizione si trova l’Italia di Giorgia Meloni, considerato il suo sostegno all’Ucraina finora e la vicinanza personale e ideologica della presidente del Consiglio a Elon Musk e a Trump?
Poiché il contributo italiano non è decisivo per l’andamento del conflitto, l’Italia non si trova a dover affrontare pressioni significative in merito a decisioni cruciali. Di conseguenza, la principale preoccupazione riguarda piuttosto come gestire l’equilibrio tra il supporto all’Ucraina e la salvaguardia degli interessi nazionali e delle relazioni con gli alleati europei.