Abbiamo attraversato una fase in cui sottolineavamo l’importanza di insegnare mappe dei saperi ai giovani affinché imparassero ad orientarsi. Ora è necessario che imparino a costruire bussole o meglio Gps per imparare a generare e scoprire orientamenti, direzioni, percorsi educativi e di carriera. Pubblichiamo un estratto dal libro di Andrea Prencipe “Università generativa”
Il tumulto dei cambiamenti globali, l’inarrestabile avanzamento tecnologico e le dinamiche demografiche che caratterizzano l’attuale contesto sociale impongono un ripensamento dei paradigmi della formazione. Siamo di fronte a una congiunzione di sfide e opportunità senza precedenti.
Se la globalizzazione ha reso il mondo più vicino e generato ricchezza, e nello stesso tempo amplificato disparità socioeconomiche e culturali, gli esiti delle dinamiche di deglobalizzazione e ri-globalizzazione sono ambigui. L’avvento e la diffusione pervasiva e repentina dell’intelligenza artificiale (IA) trasformano modalità e processi di apprendimento e l’organizzazione del lavoro e pongono domande sull’efficacia dei modelli educativi. Il cambiamento climatico e le dinamiche di urbanizzazione e de-urbanizzazione richiedono nuove conoscenze, competenze e approcci che l’università deve integrare nel suo tessuto.
La situazione di permacrisi prodotta dalle suddette dinamiche crea mercati del lavoro turbolenti e ricchi di opportunità. Questi mercati riflettono ruoli organizzativi che cambiano continuamente, sistemi routinari e mansioni che sono progressivamente sostituiti da sistemi intelligenti e professioni fino a ieri inesistenti.
Una università generativa prepara i giovani a governare i cambiamenti. Abbiamo attraversato una fase in cui sottolineavamo l’importanza di insegnare mappe dei saperi ai giovani affinché imparassero ad orientarsi. I saperi sono in continua evoluzione, tuttavia: siamo quindi passati alla fase in cui abbiamo offerto loro bussole. Ora è necessario che i giovani imparino a costruire bussole o meglio GPS per imparare a generare e scoprire orientamenti, direzioni, percorsi educativi e di carriera.
Una università generativa oltrepassa il campo semantico in cui abbiamo sempre rappresentato il curriculum accademico: un “bagaglio”, un “qualcosa di dato”, una sorta di corredo, da aggiornare ogni certo numero di anni. Una università generativa abbraccia la nozione chomskiana di grammatica generativa per sottolineare la dimensione trasformazionale delle istituzioni accademiche e dei ruoli di docenti e discenti. Noam Chomsky si rifà al modello innatistico per formulare la sua teoria: le lingue naturali non sono altro che attivazioni di una grammatica profonda e universale; partono da un patrimonio cognitivo che viene risvegliato nei bambini e progressivamente elaborato negli adulti.
Una università generativa è un “attivatore” che permette di dispiegare il patrimonio genetico-cognitivo di noi sapiens attraverso il dialogo docente-discente incentrato sull’apprendimento inteso come processo di scoperta, di formulazione delle domande (problem framing) e identificazione delle risposte (problem solving). Al dialogo docente-discente partecipano attori della società civile: imprese, istituzioni pubbliche e private, professioni, diplomazia sono latori di prospettive diverse ed attuali e quindi arricchenti i percorsi educativi.
Una università generativa è quindi il terreno di elezione, luogo ideale, pluriverso, incubatore di esperienze di apprendimenti, di ibridazione di saperi, di intersezioni e valorizzazione di culture. John Henry Newman intendeva le università quali “aggregazioni di stranieri da tutte le parti in un luogo”. L’università è quindi diversità: università e diversità si intrecciano e si attivano l’una con l’altra, proprio in senso trasformazionale: l’università genera e valorizza diversità, e la diversità genera e valorizza l’universalità del sapere come codice dell’umanità.