Mettere le persone al primo posto nello sviluppo della tecnologia: così i valori e i diritti europei possono guidare il governo del mondo digitale. Il 22 novembre a Roma la Convention “Intelligenza da vendere. Etica e impresa al tempo dell’IA” della Fondazione Guido Carli. L’intervento di Romana Liuzzo, presidente Fondazione Guido Carli
«In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti – ha scritto lo storico e filosofo Yuval Noha Harari – la lucidità è potere». Restare lucidi è un imperativo categorico dopo anni segnati da pandemia, crisi economica ed energetica, nuove drammatiche guerre, sconvolgimenti degli equilibri geopolitici. Lo è a maggior ragione davanti all’incognita dell’impatto dell’intelligenza artificiale generativa nella vita dei singoli cittadini e delle organizzazioni, siano esse Stati, unioni di Stati o imprese.
La rivoluzione tecnologica ci riporta alle origini dell’Europa come oggi la conosciamo. Quando, nel 1992, Guido Carli firmò il Trattato di Maastricht «con la mano tremante» aveva ben presente quali fossero i rischi all’orizzonte: «Se non si procede verso la moneta unica – scrisse – se le politiche economiche dei Dodici non diventeranno una sola politica, temo che il Mercato Unico non reggerà a lungo nella confusione monetaria: una visione puramente mercantile di un’area di libero scambio non ha la forza di imporsi alle coscienze come un ordinamento degno di essere difeso a qualsiasi condizione. Il ritorno ai nazionalismi sarà inevitabile».
Non era, quella di Maastricht, una manovra di eurotecnocrazia. Era il suo opposto: il tentativo di strappare l’Europa a una visione miope e frammentata, mercantile appunto, priva di una solida base valoriale. «Il nostro interesse di lungo periodo – spiegava Carli – è la costruzione di una federazione europea basata sul principio dello “Stato minimo”, tenuta unita da una politica monetaria, da una politica estera e da una difesa unitaria. Sarebbero gli Stati europei, singolarmente, in condizioni di resistere agli urti che provengono da un mondo esterno che cade in frantumi?»
Questa domanda è tornata d’attualità. Stavolta, però, sta nel Mercato Unico dei dati e nel governo comune della rivoluzione tecnologica la chiave per salvare la sovranità e la competitività europea. Già nel 2020, la Strategia europea dei dati riconosceva che l’Ue avrebbe potuto diventare un modello di riferimento per una società che, grazie ai dati, avrebbe potuto disporre di strumenti per adottare decisioni migliori, a livello sia di imprese sia di settore pubblico. Come? Facendo leva sul suo quadro giuridico solido, in termini di protezione dei dati, diritti fondamentali, sicurezza e cybersicurezza, sia sul suo mercato interno, caratterizzato da imprese competitive di tutte le dimensioni. In poche parole: sulla sua storia e sui suoi valori.
In quattro anni i progressi sembrano essersi concentrati sulla regolazione, in primo luogo con l’AI Act, il regolamento 2024/1689, che insieme al pacchetto sull’innovazione e al piano coordinato sull’intelligenza artificiale, prova a sviluppare misure per lo sviluppo di un’IA affidabile e rispettosa dei diritti fondamentali della persona riconosciuti nell’Unione europea. A ciò si aggiungono il Data Governance Act, il Digital Services Act e il Digital Markets Act approvati nel 2022 e il Data Act, che rappresenta un primo tentativo di definizione degli obblighi relativi alla condivisione dei dati tra soggetti pubblici e privati, creando spazi comuni (i “data spaces”) all’interno dei quali i dati possano essere resi disponibili agli utenti. Il ritorno economico atteso dai rimedi ai problemi giuridici ed economici che causano un sottoutilizzo dei dati – 270 miliardi di Pil lordo europeo aggiuntivo entro il 2028 – è utile per comprendere la posta in gioco, che include anche per le imprese l’accresciuta possibilità di migliorare in modo significativo le applicazioni di IA grazie all’accesso a una platea di dati molto più ampia.
L’Italia si è mossa in scia, con la Strategia italiana sull’intelligenza artificiale 2024-2026 – che ha tra i suoi obiettivi espliciti quello di sviluppare sistemi di IA in una prospettiva “country-specific” «in grado di preservare i differenziali competitivi delle nostre eccellenze, evitando una loro diluizione conseguente all’importazione di sistemi sviluppati in altri Paesi» – e con il disegno di legge sull’IA, attualmente all’esame del Senato, che punta a regolare i sistemi di intelligenza artificiale in settori sensibili quali sanità, lavoro e giustizia, ma anche ad adeguarne gli impatti sul diritto d’autore.
In molti si sono interrogati sull’opportunità di regolare nel dettaglio ciò che si fatica a produrre, alludendo al ritardo europeo nello sviluppo di soluzioni tecnologiche e di IA rispetto a Stati Uniti, Cina e India. Interrogativo legittimo, anche in un’ottica di politica industriale, adesso che bisogna decidere quali dati critici possono essere localizzati ed elaborati nei data center posti sul territorio nazionale per gestire i servizi digitali.
È vero che ci sono treni della Storia che non possiamo permetterci di perdere, e l’IA generativa è uno di questi. Ma, da europei, possiamo scegliere su quali binari farli correre. Carli non avrebbe avuto dubbi: la bussola è tenere le persone al centro. Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel suo intervento alla 79esima Assemblea generale Onu, ha sottolineato che l’intelligenza artificiale «è un moltiplicatore ma la questione è cosa dobbiamo moltiplicare. Se usiamo questo moltiplicatore per curare malattie oggi incurabili, avremo contribuito al bene comune. Se ci sarà un aumento degli squilibri, le conseguenze saranno potenzialmente catastrofiche».
È una battaglia estremamente complessa, che va combattuta assieme a chi ci è affine, a chi ha camminato fianco a fianco con noi dal Dopoguerra, in un progetto di integrazione voluto per realizzare pace, democrazia, solidarietà e cooperazione tra i popoli. Come accaduto per la Moneta Unica, costruire il Mercato Unico dei dati richiederà tempo, fiducia, responsabilità e capacità di imparare dai fallimenti, aggiustando il tiro a ogni tornante. Necessiterà di un investimento senza pari in ricerca, competenze e in memoria. Ci ha avvisato lo scrittore cileno Luis Sepúleva: «Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro».
Con questo spirito abbiamo promosso la Convention “Intelligenza da vendere. Etica e impresa al tempo dell’IA”, con cui il 22 novembre all’Auditorium Parco della Musica di Roma inaugureremo la stagione di attività 2024-2025 della Fondazione Guido Carli. Con padre Paolo Benanti affronteremo il viaggio nell’algoretica cara a Papa Francesco, un mese prima dell’avvio del Giubileo della Speranza. E con otto top manager e imprenditori proveremo a definire i principi guida di un’algoretica di impresa che permetta di cogliere l’opportunità della rivoluzione tecnologica per generare valore a beneficio dell’intera comunità nazionale. Nella tempesta ricordiamo il monito di Harari: la lucidità è potere.