“Questa iniziativa rafforza l’impegno congiunto per migliorare la risposta collettiva alle minacce cibernetiche”, ha spiegato il ministro Crosetto firmando l’entrata nel progetto Pesco. Ecco i Paesi che ne fanno parte e le attività già svolte
L’Italia è entrata nel progetto Pesco “Cyber Rapid Reaction Teams”, lanciato dalla Lituania nel 2018. Firmando l’adesione, ieri Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha dichiarato: “Questa iniziativa rafforza l’impegno congiunto per migliore risposta collettiva alle minacce cibernetiche”, elemento “chiave” per la sicurezza dell’Unione europea. La Pesco “deve essere un asset strategico per sviluppo capacità collaborative e per rafforzamento industria difesa europea”, ha aggiunto.
La missione del progetto, che si basa sulla collaborazione civile-militare, è il supporto in occasione di incidenti informatici (tramite la condivisione di informazioni, la formazione congiunta, il sostegno operativo reciproco e la creazione di capacità congiunte) nella ricerca di un livello più elevato di resilienza informatica. I team saranno in grado di assistere altri Stati membri e istituzioni dell’Unione europea, missioni e operazioni della Politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione europea e Paesi partner. In particolare, si legge sul sito, “sono garantite la non duplicazione e la complementarietà della cooperazione con le squadre di reazione rapida della Nato”.
Il progetto cooperazione con il Cert-Eu, il Servizio europeo per l’azione esterna, l’Agenzia dell’Unione europea per la cibersicurezza e la Communications and Information Agency della Nato.
Gli altri Paesi aderenti sono: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Croazia, Paesi Bassi, Polonia, Romania e Slovenia.
Il primo team è stato attivato a fine febbraio 2022, in sostegno all’Ucraina davanti all’invasione russa ma non è mai stato schierato. È stato dispiegato anche in Mozambico a sostegno alla missione europea. Più recentemente, il progetto è stato attivato, con esperti provenienti da tutti gli Stati aderenti tranne la Slovenia, per monitorare le elezioni presidenziali moldave e il referendum sull’Unione europea.
I team si sono dimostrati più efficaci “non in ruoli di risposta alle crisi, ma in missioni proattive di valutazione della vulnerabilità”, si legge in un rapporto dell’anno scorso del Center for Security Studies di Zurigo. Sembrano funzionare meglio, si legge, “come simbolo di buona volontà, contribuendo a promuovere la cooperazione soprattutto tra i Paesi partner dell’Unione europea”. Sono dunque diventati “un importante strumento pubblico per l’attività dell’Unione europea”.
(Foto: ministero della Difesa)