La pressione ha raggiunto il cuore del potere siriano. Lo dimostrano la morte mercoledì del ministro della difesa di Damasco, Daud Radschaha, e soprattutto quella di Assef Schaukat cognato di Bashar al Assad. Iniziata il 15 marzo 2011 l’insurrezione che è costata la vita ad almeno 14mila persone ha ridotto a zero il prestigio internazionale del presidente siriano e delle elite religiose alavite che lo sostengono. Difficile dire però se la fine politica del regime Baath sia alle porte. Tra le carte nelle mani di Assad le più importanti sono la sostanziale lealtà dei militari, lo stato dell’opposizione non ancora definitivamente unita e la comunità internazionale incapace di agire con una sola voce. Come dimostra il veto di ieri all’Onu di Russia e Cina, l’ultima di queste condizioni è l’unica ancora affidabile per il potere siriano. Oltre Mosca e Pechino al fianco di Assad continuano a esserci l’Iran e i libanesi di Hezbollah. Per i rapporti di forza interni vale invece il contrario. La defezione del generale Manaf Tlass e l’attentato di mercoledì indicano che in Siria non bisogna dare più nulla per scontato.
Una piramide politica e familiarePiù del sostegno esterno per la sopravvivenza del regime è determinante il fatto che la famiglia Assad continui ad agire unita. Se si da uno sguardo alla piramide politico-famigliare del potere di Damasco si ricava l’impressione che gli Assad avessero in qualche modo previsto l’insurrezione e non si siano fatti cogliere di sorpresa dalla guerra civile. Da decenni i posti più importanti dell’esercito e dei potentissimi servizi segreti appartengono ai membri della famiglia. I livelli inferiori del potere siriano sono invece distribuiti tra gli alaviti e i quadri più fidati del partito Baath. Secondo gli osservatori del paese mediorientale l’ottanta percento degli ufficiali del paese, tra cui lo stesso Assad, appartengono alla minoranza religiosa alavita. Più o meno simili i rapporti di forza tra i diplomatici. Gli alaviti che contano il dieci per cento della popolazione siriana, nelle istituzioni internazionali sono rappresentati al sessanta per cento. Solo il dieci per cento della diplomazia siriana passa per mani sunnite.La truppa d’elite della Guardia repubblicana è invece esclusivamente alavita. La Guardia, ancora non completamente coinvolta nel conflitto visto che attende ordini alle porte di Damasco, è comandata dal fratello di Bashar, Maher al Assad. Il clan Assad si muove all’unisono con quello dei Machluf. L’unione tra i due gruppi passa attraverso Anisa Machluf madre di Bashar e Maher Assad. Il fratello di Anisa, Muhammad Machluf, da decenni eminenza grigia del regime, è la persona che finora ha fortemente influenzato tutte le decisioni strategiche del regime. Anche i due figli di Muhammad, Rami e Hafez Machluf, cugini dei fratelli Assad, gesticono leve fondamentali del potere. Hafez guida i servizi segreti. Il fratello Rami, uomo più ricco del paese, controlla o influenza il 60 percento dell’economia siriana. È lui a concedere la liquidità necessaria alla sopravvivenza del regime. Il solo momento di discordia tra i due gruppi si è avuto nel 1984 col tentativo di rovesciare Hafez al Assad, padre di Bashir, presidente fino al 2000 e finora unico vero uomo forte del quarantennale regime alavita-Baath. Il fallimento dell’impresa ha portato all’esilio del suo ideatore. Rifaat al Assad, fratello dell’ex presidente, da allora vive a Londra da esiliato e dissidente. Pari a zero il suo ruolo negli attuali avvenimenti.
Un patto basato sulle contraddizioni di una non nazione
Bachar al-Assad è il presidente siriano. Deve però gestire il potere con tutto il clan e innanzitutto col fratello Maher. Il responsabile della Guardia repubblica che si è distinto per la brutalità con cui ha spento la rivolta di Daraa nel maggio 2011. Il “boia di Daraa” è anche sospettato di aver preso parte all’attentato che nel 2005 ha ucciso l’ex presidente libanese Rafiq al Hariri.
L’attacco di Damasco di mercoledì ha cancellato un nome importante in questa lista di potenti. Assef Schaukat cognato dei fratelli Assad. Dopo aver sposato nel 1995 la sorella Buschra era diventato il rappresentate più fidato del regime. Passato nel 2005 alla testa dei servizi segreti militari, cade in disgrazia tre anni dopo. È sospettato di aver svolto un ruolo nell’attentato che nel 2008 aveva colpito il capo del braccio militare di Hezbollah, Imad Mughniya. In secondo piano fino al 2011 momento della riabilitazione. A riprova di quanto il ruolo di Schaukat fosse delicato, il suo posto a differenza di quello occupato dal ministro della difesa, altra vittima dell’attentato di mercoledì, è ancora vacante.
Alla testa dei servizi segreti siriani, una miriade di strutture che tra i tanti compiti hanno anche quello di sorvegliarsi a vicenda, gli Assad hanno piazzato gli alaviti più fedeli. Uno di questi, famigerato per la propria brutalità, è Dschamil Hassan, capo delle strutture segrete dell’aeronautica militare. Un altro è Abdul Fatah Qudsiyah, uomo senza scrupoli e leader dei servizi segreti militari.
Nonostante il potere accumulato in quattro decenni, il regime non sembra in grado di mettere fine alla rivolta. Finora la piramide della forza costruita dal padre dell’attuale presidente si è dimostrata affidabile. Anche le spaccature in atto nel paese hanno fatto il gioco degli Assad. Sunniti contro alaviti. Laici contro religiosi. Ricchi contro poveri. Senza dimenticare le contrapposizioni tra le città. Homs e Hama centri dell’insurrezione, contro Damasco e Aleppo metropoli economiche e motori di quel ceto medio borghese indeciso sul ruolo da svolgere nello scontro in corso. Queste le contraddizioni nel patto che da quattro decenni aveva permesso la pacifica convivenza del “gorgo del mondo mediorientale”. Se nessuno si assumerà la responsabilità di metterlo in discussione Assad resterà al potere. Ma continuerà anche il bagno di sangue.