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Le ragioni e i sogni di Pelanda sulla Merkel

Le osservazioni del professor Pelanda sono suggestive, ma non so quanto realistiche. La sua idea di far battere un colpo d’ali all’Italia, complessivamente valutata, per stabilire con la Germania una sorta di patto di sindacato onde dare un senso più politico all’eurozona perché possa funzionare – meglio che con l’asse Berlino-Parigi – un’Europa effettiva partner degli Stati Uniti nell’economia globalizzata, potrebbe davvero costituire una fascinosa prospettiva futurizzante. Ma sono, gli schieramenti politici italiani e germanici, in condizione di capire, giustificare e gestire un simile progetto?

Che l’Italia sia eterodiretta, specialmente negli ultimi tre anni, è di una evidenza solare. Che la Germania della Merkel sia disponibile ad avvertire più il fascino di Roma che di Parigi, ho più d’un dubbio. Che l’Europa debba riacquistare un ruolo nel mondo globalizzato, è augurabile. Però né la Germania, né l’Italia sono analogamente attrezzate culturalmente:

a) per rovesciare il cumulo di convenienze che si sono raggrumate in un Vecchio Continente ridotto a solo mercato, privo di visione politica;

b) ad acquisire quel senso di collaborazione politica che – ahimè, quasi cinquant’anni orsono – Adenauer, De Gasperi e Schuman avevano suggerito al fine di restituire pace ad un’Europa che aveva dato vita a due guerre mondiali in poco più di due decenni.

Il professor Pelanda fa due annotazioni importanti circa l’odierna Germania della Merkel, che stravince, ma ha un’idea precisa della necessità di mostrarsi lungimirante ricorrendo ad una grande coalizione; e circa l’opportunità che l’Italia riesca a ricomporsi attorno ad una confederazione popolare che si proponga come alternativa centrista ad una sinistra che non può presumere di raffigurarsi come antagonista ad un centro democratico tenendo in sé, quasi prigioniero, un settore postdemocristiano attualmente al potere con un Enrico Letta già allievo di Beniamino Andreatta, economista scudocrociato quotidianamente polemico coi socialisti invocanti una alternativa di potere.

Perché l’idea di Pelanda possa realizzarsi, temo occorrano almeno due passaggi: l’accettazione, in Germania e in Italia, del coalizionismo inteso come sistema di stabilità economica e politica; un rimescolamento generale dell’intero campo dei partiti, con preventiva presa di distanza (o per autoesclusione) delle forze estremistiche, antieuropeiste, anticapitaliste, euroscettiche, di sinistra e di destra.

Non vedo, francamente, dove siano nascoste le teste pensanti che dovrebbero convincere gli italiani a riassettarsi in termini più logici e, diciamolo, più convenienti per rendere l’Italia politica più stabile e più democratica. Sono anni che vado suggerendo il ricorso ad un confederalismo che potrebbe tenere assieme dei partiti distinti ma non condannati a restare antagonistici in eterno. La Germania della Merkel l’ha, invece, capito da parecchio tempo; e, in più, ha la persuasione che il grancoalizionismo non sia una trovata “democristiana”, bensì una maniera per riconoscere le differenze fra democristiani e socialdemocratici, ma non assumendo indefinitivamente né i primi, né i secondi come soggetti inconciliabili. Ma, in ultimo (o, forse, per primo), dove sono in Italia i veri socialdemocratici?

 



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