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Romania, le campagne ibride di Mosca minano un Paese Ue e Nato

La decisione della Corte costituzionale romena di annullare le elezioni presidenziali, a seguito di un’aggressiva campagna ibrida attribuita alla Russia, scuote il Paese e l’Europa. Documenti declassificati evidenziano una strategia di destabilizzazione attraverso cyber-attacchi e campagne di disinformazione. La crisi politica si intreccia con le vulnerabilità delle democrazie occidentali, aprendo interrogativi sulla capacità di difesa contro le nuove forme di minaccia

La Corte costituzionale della Romania ha deciso di annullare le elezioni presidenziali per “garantire la correttezza e la legalità del processo elettorale”. Una scelta senza dubbio sofferta data la sua unicità e le sue inevitabili conseguenze, figlia della “aggressiva” campagna ibrida russa che, secondo alcuni documenti dell’intelligence e delle forze di polizia declassificati dal governo europeista e atlantista di Klaus Iohannis, avrebbe favorito la vittoria al primo turno, a gran sorpresa, del candidato nazionalista Calin Georgescu, filorusso. Sarebbero stati mobilitati 25.000 account coordinati su TikTok e condotti 85.000 cyber-attacchi. I servizi di intelligence romeni suggeriscono che in questa operazione siano state spese ingenti somme di denaro e che la portata e l’estensione geografica dell’azione indichino “un attore statale”.

Tutti gli indizi portano alla Russia di Vladimir Putin, da mesi impegnata in una campagna ibrida contro l’Europa per minare il sostegno all’Ucraina.

Ma l’errore più grande sarebbe pensare che Mosca non abbia comunque raggiunto il suo scopo. Ovvero, quello di destabilizzare una democrazia occidentale, un Paese membro dell’Unione europea e della Nato. È un obiettivo più che sufficiente per la Russia, probabilmente anche preferibile alla vittoria di Georgescu.

La situazione è critica. Elena Lasconi, candidata centrista al ballottaggio, ha definito la decisione della Corte costituzionale come “distruzione della nostra democrazia”. George Simion, leader del partito di estrema destra Alleanza per l’unione dei romeni, ha usato l’espressione “colpo di Stato” e chiesto tuttavia ai cittadini di non scendere in piazza, “non ci lasciamo provocare, questo sistema deve cadere democraticamente”, ha aggiunto. I prossimi giorni ci diranno se la Romania ritroverà la stabilità politica o se la mossa della Corte costituzionale sarà stata l’innesco di una crisi senza precedenti. Alcuni partiti hanno chiesto anche l’annullamento delle elezioni parlamentari. Ma, soprattutto, non c’è chiarezza sul piano giuridico su chi sarà il presidente considerato che Iohannis resterà in carica fino al 21 dicembre: i costituzionalisti rumeni sostengono che solo il nuovo presidente del Senato potrebbe legalmente assumere la carica di presidente ad interim.

Quanto accaduto in questi giorni scorsi in Romania fotografa perfettamente l’asimmetria che è caratteristica fondamentale delle minacce ibride lanciate dalle autocrazie contro le democrazie (anche contro l’Italia, come riassume un rapporto del German Marshall Fund di agosto). Chi attacca, con strumenti convenzionali e non, può contare su un discreto livello di deniability. E ciò rende la risposta di chi difende particolarmente complessa, tra le difficoltà di attribuire l’attacco al responsabile e di assumere contromisure necessarie assicurando allo stesso tempo, tramite la trasparenza in primis, che non inneschino un effetto contrario come l’ulteriore erosione della fiducia dei cittadini verso le istituzioni democratiche. Anche perché mancano esperienze passate e dunque mancano strumenti di prevenzione e contrasto. Per questo, un intervento a posteriori senza una base giuridica forte si presta non solo a critiche e ricorsi ma anche ad aprire ampi spazi di sfruttamento per ulteriori campagne di influenza, disinformazione e guerra cognitiva.


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