Skip to main content

Tra crisi d’identità e Occidente, il disagio esistenziale nel romanzo di Severi

Ecco “Quando tutto è lontano” di Pierluigi Severi ed edito dalla casa editrice Rossini. Un romanzo che proietta il lettore nel 2002 da Parigi a Roma, dove incontra ostilità, amore, dolore e la contraddittoria bellezza della Capitale del Cristianesimo

“Quando tutto è lontano” appena uscito in libreria è scritto da Pierluigi Severi giornalista e autore. Edito dalla casa editrice Rossini.

Tratta di un tema attualissimo, come il fanatismo religioso, le guerre, il conflitto tra Occidente e Islam all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle.

Protagonista Ahmed Bessaud, intellettuale francese, arabo e musulmano.

«Deve ammettere che nel Corano sono molte le istigazioni alla violenza» disse la giornalista.

«Anche nella Bibbia… testi scritti che una qualunque expertise colloca in un arco temporale di più di un millennio. Un Dio alterato dentro la storia, ignorando categorie culturali e morali in epoche molto diverse dalle nostre.»

«Mi permetta, nei Vangeli non c’è violenza»

«Vede, ci dobbiamo intendere…nel Vangelo di Matteo può trovare Gesù che dice agli apostoli: Non pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada». La giornalista si agitò sulla sedia, «A chi non sa – Ahmed fece una maliziosa pausa – la spada nel mondo giudaico indicava l’efficacia della Parola di Dio. Significati. Vede. Da contestualizzare. È il nostro compito. Interpretare alla luce dei valori umanistici»

La vicenda personale di Ahmed Bessaud si dipana tra il disagio esistenziale di un uomo in crisi d’identità e il suo tentativo di interpretare laicamente il Corano.

Ahmed parlava in verità a se stesso. Nella sua mente e nelle parole c’era l’idea che l’identità è un percorso, non un luogo, è Mosè che guida gli ebrei fuori dall’Egitto. Un itinerario, un viaggio che dura nel tempo. «Purtroppo, questa elementare verità la cultura occidentale l’ha stravolta, ha fatto dell’identità un luogo, un territorio, una lingua, una nazione, segnata da confini fisici. Lì sta la causa prima di millenarie gelosie, incomprensioni, guerre». Stentavano a capire il senso di quelle parole, tranne il professor Giacalone, estasiato. «In quanto francese ed europeo dovrei dire noi, e invece come musulmano e d’origine nordafricana appartengo in un certo qual senso a quel vostro voi».

La sua storia personale inizia negli anni ‘50, nei caseggiati poveri del bacino carbonifero di Nord-Pas de Calais, un inferno umano dove decine di migliaia di immigrati magrebini sono condannati ad un lavoro ingrato e pericoloso. Adora il padre minatore anche se diverrà in seguito memoria macchiata dalla vergogna.

Con lui, la madre era presente e premurosa, ma poco affettuosa, diversamente dal padre prodigo di coccole. Peccato che fosse spesso assente: ma petite amaziy, lo chiamava così, mio piccolo libero, mescolando francese e berbero, ogniqualvolta tornava a casa, per scappare via subito da quel sobborgo penoso, al confine tra città e natura. Le giornate di svago rubate al lavoro erano il regalo più bello per Ahmed (…) Specie d’estate (…) lungo le spiagge argentee, a tratti nere, di Pas-de-Calais. Attraverso campagne collinari tra filari di bianche betulle e spianate di arbusti dai fiori rossi, gialli e viola. Emozioni e stupore in ogni gita. Alla scoperta delle meraviglie del paesaggio normanno, Lo sentiva proprio, per nascita, in una infantile percezione di quel contraddittorio destino, francese e berbero.

Il romanzo proietta il lettore nel 2002 da Parigi a Roma, dove incontra ostilità, amore, dolore e la contraddittoria bellezza della Capitale del Cristianesimo.

La sua luce è un incanto, mai vista né a Parigi né altrove. Niente più, per il momento. Forse sbaglio, ma Roma sembra non avere la necessaria coscienza della sua grandezza, diversamente da Parigi (…) Quella pagana nell’area archeologica attorno al Colosseo, quella cattolica nelle innumerevoli chiese, nei monumenti, palazzi, prima fra tutte l’immensità di San Pietro, ma anche in piccole chiese come Santa Prassede, un gioiello. Nelle iscrizioni, nel rosario di madonne agli angoli delle strade del centro storico. Spiritualmente, resta invece un rebus. Spero di risolverlo.

Soprattutto trova l’accoglienza di donne forti e generose. Saranno loro a strappare il velo dell’ipocrisia sociale sugli immigranti e sui senza patria; in primo piano la sfrontata Flaminia che si invaghirà di quell’arabo affascinante.

Fumo. In quel salotto impregnato e tossico, e tuttavia adescante. Non sapeva dire se dipendesse dall’atmosfera seducente di quel piccolo appartamento, che le si adattava perfettamente; la morbidezza delle luci soffuse, il legno chiaro di castagno dei pochi bei mobili dell’arredo, il brillare degli oggetti di cristallo come stelle d’interno, il disordine intellettuale dei libri impilati a terra. Nessun quadro alle pareti. Soltanto tre grandi foto in bianco e nero (…) Ad attirare la sua attenzione, la foto di lei in bianco e nero appesa senza cornice. Seduta su uno scoglio, il corpo ripiegato su se stesso e avviluppato da un vestito trasparente battuto dalla pioggia e dal vento, in un magico contrasto di chiaro scuro. Di certo, opera di un fotografo professionista. «Me l’ha scattata Ferdinando Scianna, adorato per la sua sicilianità da Leonardo Sciascia» disse. «All’epoca, in quella foto, c’era tutto il suo spudorato amore per la luce e per il mio corpo nudo.»

Nell’intreccio di fatti e misfatti, dalle cronache sugli attentati terroristici alle banalità di una falsa rispettabilità borghese, la narrazione rivela un mondo dove le emozioni durano un attimo, un effimero attimo in cui ci sentiamo parte della vita altrui, del dolore e delle gioie, per subito dopo richiuderci in noi stessi, come la tenda di un palcoscenico.


×

Iscriviti alla newsletter