L’allungamento della vita media, che per gli uomini si spinge oltre gli 81 e per le donne varca anche gli 85, se segna un traguardo per le scienze mediche, non si può dire che si traduca sempre in una festa per tutte le famiglie italiane, in assenza di un efficace sistema di welfare capace di tutelare il diritto ad una vita decente della persona che ha superato quei traguardi e di chi gli sta attorno. La rubrica di Pino Pisicchio
Vedremo nel prossimo gennaio quale sarà il nuovo bilancio demografico certificato dall’Istat, ma, molto probabilmente non si scosterà più di tanto dal quadro registrato già all’inizio del 2024, che confermava senza alcuna remissione la vecchiezza del nostro Paese. All’inizio dell’anno, infatti poco meno della metà degli italiani aveva più di cinquant’anni e, se solo i pensionati over 65 avessero deciso di mettersi insieme per fare un partito, alla maniera dei socialdemocratici di Pietro Longo di una quarantina d’anni fa, avrebbero sbaragliato senza pietà ogni concorrenza, con 14 milioni e 338 mila preferenze, corrispondenti, appunto, ad ogni cittadino tra l’età della pensione e l’infinito, un 25% tondo tondo dell’intera popolazione.
Questa è l’Italia delle demografie allineate ad un occidente declinante e ad una politica che sembra non vedere, abbagliata, come appare, da suggestioni di bipolarismo conflittuale senza costrutto ma con effetti speciali. Ma dietro le statistiche c’è molto di più. C’è un assetto familiare del tutto nuovo che racconta la via Crucis dei “caregiver”, paroletta inglese che addolcisce il contenuto di sofferenze e crisi abbandoniche del familiare che si prende cura di un anziano o di una persona con gravi disabilità. Gli anziani italiani bisognosi di accudimento erano all’inizio dell’anno poco meno di 4 milioni (3,86 milioni per la precisione), affidati al buon cuore dei parenti, senza nessuna pietas sociale. Se un quarto degli italiani ha in famiglia una persona “anziana”, vuol dire che il dramma della difficoltà grave nell’esercizio di attività funzionali di base, motorie, della vista e dell’udito, della memoria o di più gravi impedimenti, è noto praticamente a tutte le famiglie italiane, chiamate a garantire assistenza o più spesso a prestarla in via diretta, in carenza di risorse, investendo di questo ruolo un familiare, in prevalenza ( 60% circa)una donna. Che comincia a diventare anch’essa un po’ âgé.
Insomma l’allungamento della vita media, che per gli uomini si spinge oltre gli 81 e per le donne varca anche gli 85, se segna un traguardo per le scienze mediche, non si può dire che si traduca sempre in una festa per tutte le famiglie italiane, in assenza di un efficace sistema di welfare capace di tutelare il diritto ad una vita decente della persona che ha superato quei traguardi e di chi gli sta attorno. E se senectus ipsa est morbus, come ricordava Terenzio, immaginarsi che succede quando si allinea al “morbo” principale anche qualche malattia legata all’invecchiamento, con il suo onere di irreversibilità. Dalla persona che cade fratturandosi ossa sempre più fragili, al virus debilitante, fino alle malattie letali che ghermiscono l’anziano come fosse una preda predestinata, si tratta di esperienze che hanno sempre due vittime al centro: la persona malata e chi l’accudisce, chiamato/a a scegliere tra la sua vita e quella di chi la vita gliel’ha data, madre o padre che altrimenti non avrebbero ancora molte chance di sopravvivenza.
Perché non è esperienza consigliabile quella di sperimentare i reparti geriatria degli ospedali italiani, a meno di non voler prendere atto di che cosa intenda precisamente Papa Francesco quando mette in guardia contro la subcultura dello “scarto umano”. Peraltro si tratta di poche disponibilità di letti che rifiutano la lungodegenza. E non è, attenzione, un problema di deficienza del personale medico e sanitario, si tratta di spazi vitali che mancano e che nessuna prodezza umana potrà riparare. Certo: esistono anche luoghi vocazionalmente allestiti per gli anziani, teoricamente appartenenti ad una rigorosa divisione di casta. Da un lato gli alberghi per gli anziani ricchi, dall’altro le Rsa per i poveri che finiscono nelle cronache per maltrattamenti. Peraltro anche gli alberghi per pensionati facoltosi, a parte l’inevitabile straniamento che prende chi viene in età avanzata allontanato dalla sua casa di sempre e dalla sua gente per vivere in un contesto estraneo, non sono rimasti esenti da critiche di insufficienza ed altro, e comunque non si rappresentano come alternative alla portata dei più. Senza poi contare il dramma senza fine di chi deve accompagnare la persona cara verso l’ultima dimora e cerca posto negli hospice, che sono pochi e nati prevalentemente su iniziativa religiosa o privata.