I moderati rappresentano uno dei rebus ancora irrisolti della dialettica politica della Seconda repubblica. Un po’ per convenienza, un po’ per convinzione, quasi tutti i leader se ne attribuiscono la difesa e la rappresentanza, censurando i rispettivi avversari per comportamenti, toni e alleanze. “Siamo noi i veri moderati” è un refrain che si ascolta spesso nei comizi e si legge tutti i giorni nelle cronache politiche. Perché? La divisione Public affairs di Lorien Consulting è andata a decifrare il rebus dei moderati, attraverso un’indagine su un campione nazionale di mille persone strutturate per sesso, età e area geografica, rappresentativo della popolazione maggiorenne italiana. Scoprendo che i paradossi dialettici dei leader politici si ritrovano in maniera piuttosto simile anche nel corpo elettorale.
I moderati, una chimera
Quasi un italiano su due, alla domanda di autocollocazione politica, si è definito “moderato”, più qualcos’altro. Il 22% si è definito di “destra moderata”, il 12% si è definito “moderato di centro”, il 14% si è definito “moderato di sinistra”. Si tratta, in una batteria di 15 opzioni di risposta, delle tre più gettonate, assieme alla “non collocazione”. Quando però andiamo a redistribuire i nostri “moderati” in una diversa auto-classificazione, che questa volta fa riferimento alle grandi famiglie politiche europee, scopriamo che tra di loro – dal punto di vista della visione della società – hanno davvero poco in comune. La destra moderata si divide prevalentemente tra cristiano democratici, liberali, popolari, conservatori; i moderati di centro si collocano compatti tra i cristiano democratici e i popolari, quelli di sinistra tra socialdemocratici, ambientalisti, socialisti, oltre ad alcune componenti di regionalisti e di estrema sinistra, con una componente invece non trascurabile di cristiano democratici.
A parte, dunque, una ristretta fascia trasversale che fa riferimento all’esperienza della Dc (che con il gioco delle correnti – ma una comune unique selling proposition – riusciva a riprodurre al suo interno la dialettica destra-sinistra), i moderati del 2011 appaiono ben lontani tra di loro. I comportamenti di voto confermano queste premesse, e danno una lettura in più. Negli ultimi cinque anni il 72% dei moderati di destra e il 75% dei moderati di sinistra ha votato almeno una volta rispettivamente per il Pdl e il Pd. Solo il 48% dei moderati di destra crede però che “i moderati” della politica italiana siano presenti nel Pdl, e allo stesso modo solo il 46% di quelli di sinistra crede che siano nel Pd. Comportamenti speculari per i due poli maggiori anche per una preferenza alternativa: il 34% dei moderati di destra ha espresso il suo voto almeno una volta per la Lega nord, il 25% di quelli di sinistra almeno una volta per l’Italia dei valori.
Mentre rappresentano un’alternativa moderata per i due elettorati di riferimento, le due frange più “estreme” (Lega per il centrodestra, Idv per il centrosinistra) segnano una rottura con i moderati degli schieramenti opposti. Se infatti solo il 7% dei moderati di destra crede che oggi i moderati siano anche nel Pd e quelli di sinistra che siano anche nel Pdl, le percentuali rasentano lo zero per Idv e Lega. “Il Pdl lasci la Lega” e “il Pd lasci l’Idv”: frasi ricorrenti per i politici dei due contenitori principali. L’unico partito che oggi le fa sue entrambe è l’Udc, che viene visto dal 35% degli italiani (sopra tutti gli altri partiti) come l’approdo dei moderati. Un riconoscimento che il partito centrista non riesce a capitalizzare, alla luce anche del comportamento di voto dei moderati di centro. Solo il 18% di questi ha votato almeno una volta negli ultimi 5 anni il partito guidato da Casini. Percentuali simili per quelli che hanno scelto l’Idv (20%) e la Lega (17%), mentre i due contenitori polarizzanti sono risultati i più vicini (40% per il Pd e il 44% per il Pdl) ai centristi moderati. L’Udc è il partito che presenta il bacino di voto potenziale più ampio (circa il 29% degli italiani lo prenderebbe in considerazione alle prossime elezioni) rispetto alle intenzioni di voto effettivamente espresse (6-7%). Il posizionamento politico – giustamente rivendicato dagli elettori centristi – però non basta a un’ampia fetta di moderati. Perché per loro la moderazione indica qualcosa di diverso.
La moderazione, uno stile
Per due italiani su tre la moderazione rappresenta un modo di essere e partecipare indipendente dalla posizione politica. Percentuali maggiori le ritroviamo nei moderati di destra e in quelli di sinistra. A credere che la moderazione rappresenti una posizione politica di equidistanza è solo il 28% degli italiani. La moderazione è soprattutto equilibrio. Ma anche tranquillità, non estremismo, onestà, serietà. Qualcuno la identifica con Casini, qualcun altro con Bersani. In ogni caso si tratta di una qualità dalla quale oggi non si può prescindere, un tratto di cui ha bisogno il Paese. Un ipotetico movimento che unisca i moderati verrebbe infatti preso in considerazione alle prossime politiche dal 66% degli italiani, un bacino di attrazione potenziale enorme, se solo pensiamo che quelli di Pdl e Pd oscillano attorno al 40%, quelli di Lega, Idv e (come detto) Udc attorno al 30%. Un movimento “che unisca i moderati”, non un movimento o un partito “moderato”, sarebbe preso in considerazione in maniera trasversale dagli elettori di tutti i partiti, raccogliendo percentuali oltre la media tra gli indecisi e gli astensionisti (che oggi rappresentano oltre il 30% degli italiani). Perché riuscire a superare le divisioni ideologiche e di schieramento, la delegittimazione dell’avversario per il bene dell’Italia in un momento così delicato sarebbe al tempo stesso questo un atto di moderazione. E di equilibrio e serietà.