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Assassinio vicino al Cremlino. Il prof. Trenta spiega cosa c’è dietro la morte di Kirillov

Secondo il professore dell’Università di Swansea, l’attentato, realizzato con 300 grammi di esplosivo a pochi chilometri dal Cremlino, sottolinea la capacità ucraina di colpire in profondità, mandando un messaggio chiaro a Mosca, alla leadership russa e alla comunità internazionale

Giovedì, il presidente russo Vladimir Putin ha spiegato che l’uccisione a Mosca del generale Igor Kirillov, comandante delle truppe di difesa radiologica, chimica e biologica delle Forze armate russe, e del suo assistente Ilya Polikarpov è stato il risultato di “gravi errori” dell’apparato di intelligence e sicurezza. A compiere l’attentato, secondo l’FSB, sarebbe un cittadino uzbeko a cui l’intelligence ucraina avrebbe assicurato 100.000 dollari e una vita in uno dei Paesi dell’Unione europea.

Ne parliamo con Luca Trenta, professore associato di Relazioni internazionali presso il Dipartimento di scienze politiche, filosofia e relazioni internazionali dell’Università di Swansea, nel Regno Unito, autore del libro “The President’s Kill List” (Edinburgh University Press).

Che cosa possiamo dire sull’attività ucraina in Russia dopo questo assassinio?

L’operazione è stata attribuita all’intelligence ucraina. Sia la SBU sia la HUR hanno dimostrato una sofisticata capacità di penetrazione e operatività sul territorio russo, sia in termini di raccolta informazioni che di esecuzione di attacchi. La complessità di questo attentato, che ha avuto luogo a soli chilometri chilometri dal Cremlino, evidenzia la loro abilità nell’evadere la sorveglianza russa e nell’impiegare esplosivi di precisione, come i 300 grammi utilizzati in questo caso.

Perché il generale Kirillov era un obiettivo così significativo?

Era il capo delle forze di difesa chimica, radiologica e biologica della Russia. Queste forze non solo si occupano di protezione, ma anche di utilizzo offensivo di armi chimiche, come il gas cloropicrina, un agente soffocante già impiegato nella Prima guerra mondiale. Era stato sanzionato da Stati Uniti e Regno Unito per il suo coinvolgimento nell’uso di armi chimiche in Ucraina. La sua eliminazione non colpisce solo la struttura operativa, ma anche un simbolo del programma russo in questo settore. Inoltre, era responsabile dei principali programmi di disinformazione per minare il supporto internazionale all’Ucraina, per esempio con la narrazione dei famigerati biolaboratori americani nel Paese.

Ci sono segnali più ampi che l’Ucraina vuole mandare con questa operazione?

L’assassinio di Kirillov invia segnali multipli. Alla popolazione russa e a Mosca, dimostra che nessuno è al sicuro, nemmeno le figure di alto profilo. Al presidente Putin e agli altri generali, sottolinea che i fallimenti dell’apparato di sicurezza hanno conseguenze dirette. E al mondo intero, mette in evidenza la capacità ucraina di colpire obiettivi di alto valore strategico nel cuore della Russia.

Questo attentato si colloca in una serie di operazioni simili?

Sì, si tratta di un’operazione che segue una serie di assassinii di alto profilo. Possiamo citare l’uccisione di Darya Dugina nell’agosto 2022, quella del blogger pro-guerra Vladlen Tatarsky nell’aprile 2023, e altri casi recenti come Valery Trankovsky in Crimea e Mikhail Shatsky. Questa sequenza di eventi evidenzia una chiara strategia volta a destabilizzare le figure chiave del sistema russo.

Qual è l’impatto di queste operazioni sul morale delle forze russe e sulla percezione della guerra?

Sul piano psicologico, tali operazioni minano il morale non solo delle forze armate russe, ma anche delle istituzioni che dovrebbero proteggerle. Per la leadership russa, è un duro colpo alla credibilità del sistema di sicurezza. Sul piano internazionale, alimentano la narrazione di un’Ucraina che non solo resiste, ma è in grado di colpire con precisione e audacia anche nel cuore del territorio nemico.


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