Possibile che Trump mantenga le sue promesse elettorali. Ma è probabile che eventuali misure vengano adottate gradualmente e con approccio sfumato. L’analisi di Valbona Zeneli, Senior fellow Europe center e Scowcroft center for strategy and security dell’Atlantic council
L’attuale frammentazione geo-economica, scatenata dalla pandemia di Covid-19, dalla guerra della Russia in Ucraina e dalle crescenti tensioni economiche tra gli Stati Uniti e la Cina, hanno portato ad un profondo riesame della globalizzazione e delle partnership, con il potenziale di dividere il mondo in blocchi economici distinti e con limitata interconnessione.
Il concetto di sicurezza economica, segnando un allontanamento dai tradizionali principi di libero scambio e alimentato da preoccupazioni legate alle rivalità geopolitiche, ha riacquistato importanza, evidenziando la necessità di catene di approvvigionamento resilienti, indipendenza energetica e una gestione efficace delle risorse.
In un contesto globale sempre più imprevedibile, l’autonomia strategica è diventata una priorità assoluta per i governi nel mondo. Il commercio globale (di beni) ha raggiunto i 33 trilioni di dollari nel 2024, con un aumento di 135 volte rispetto a sessanta anni fa, grazie alla liberalizzazione tariffaria e agli accordi commerciali, secondo i dati della Unctad.
Tuttavia, stiamo assistendo a un paradosso: nonostante la crescita continua, il commercio globale sta diventando sempre più frammentato. Le tariffe sono scese dal 13% al 7% nell’ultimo decennio, ma le misure non tariffarie sono aumentate bruscamente dal 53% al 72%, creando nuove sfide per il commercio internazionale. In questo contesto complesso, la domanda cruciale è come la nuova amministrazione Trump affronterà il commercio, in particolare per quanto riguarda le tariffe.
Sebbene sia possibile che il presidente Trump mantenga le sue promesse elettorali, è probabile che eventuali misure vengano adottate gradualmente e con approccio sfumato. Il commercio verrà percepito in termini binari, spesso giudicato in base ai deficit commerciali. Il deficit commerciale degli Stati Uniti è cresciuto da 451 miliardi di dollari nel 2000 a 951 miliardi nel 2022, per poi scendere a 773 miliardi nel 2023. Il cambiamento dell’ultimo anno è attribuito alle politiche industriali dell’amministrazione Biden, che mirano a rafforzare la produzione interna e ridurre la dipendenza dalle importazioni.
Per quanto riguarda il commercio con la Cina, il deficit commerciale degli Stati Uniti è cresciuto da 333 miliardi di dollari nel 2012 a 422 miliardi nel 2022, per poi scendere a 301 miliardi nel 2023, segnando una riduzione significativa per la prima volta in decenni. La nuova amministrazione statunitense probabilmente continuerà le politiche commerciali attuali, con un focus più marcato e una narrativa più forte.
Sulla base dell’esperienza del primo mandato di Trump, gli Stati Uniti potrebbero nuovamente considerare tariffe e altre misure per affrontare gli squilibri commerciali con i partner principali. L’accordo commerciale di Fase 1 con la Cina, ampiamente considerato un fallimento a causa del mancato rispetto degli impegni da parte della Cina, potrebbe essere rivisto prima di imporre una tariffa del 60% sulle importazioni cinesi. Più in generale, l’amministrazione statunitense dovrà affrontare due considerazioni chiave sul commercio: le imprese Usa dovrebbero operare in un mercato aperto e competitivo per stimolare innovazione e produttività, ma è irrealistico aspettarsi che competano con concorrenti sostenuti dallo Stato che beneficiano di sussidi.
Pur evitando il protezionismo, l’amministrazione dovrà proteggere settori critici essenziali per gli interessi economici e di sicurezza a lungo termine. Negli Stati Uniti e in Europa crescono le preoccupazioni per gli avanzi commerciali esterni della Cina, sostenuti da politiche industriali volte a favorire le esportazioni e a stimolare la crescita economica in un contesto di debole domanda interna. Tra il 2009 e il 2022, la Cina ha implementato circa 5.400 politiche di sussidio, pari a due terzi delle misure adottate dalle economie avanzate del G20, concentrandosi su settori come software, automobili, semiconduttori e tecnologie verdi, secondo il Global trade alert.
Inoltre, la Cina controlla l’85% dei materiali di terre rare raffinati a livello mondiale (Ree) e domina circa l’85% della capacità globale di lavorazione delle materie prime critiche, conferendole un notevole potere sui prezzi di mercato e sull’accesso, creando vulnerabilità e dipendenze nelle catene di approvvigionamento. L’attenzione degli Stati Uniti sulla promozione della produzione domestica e sull’uso delle tariffe per proteggere le industrie chiave potrebbe mettere a dura prova le relazioni con l’Unione europea, che sostiene da tempo il libero scambio e i mercati aperti.
Sebbene una tariffa generalizzata del 10% sembri improbabile a breve termine, tariffe specifiche potrebbero segnare l’inizio di una strategia più ampia, potenzialmente scatenando una escalation reciproca e aumentando l’inflazione sia negli Stati Uniti che nell’Ue. Il commercio tra i due è passato da 629 miliardi di dollari nel 2011 a quasi 950 miliardi nel 2023, con l’Ue che ha registrato un surplus commerciale di oltre 200 miliardi di dollari nel 2023, rispetto ai 91 miliardi del 2011.
In particolare, l’Italia registra un surplus commerciale di 50 miliardi di dollari con gli Stati Uniti, uno dei suoi mercati di esportazione più importanti. Nonostante nel breve termine possano sorgere disaccordi commerciali tra Stati Uniti e Ue, gli investimenti diretti esteri (Ide) rimangono il pilastro dell’economia transatlantica, con uno stock reciproco di 7,4 trilioni di dollari nel 2023, molto più rilevante delle relazioni commerciali, stimolando la crescita economica su entrambe le sponde dell’Atlantico.
L’Italia ha un significativo margine di miglioramento nelle relazioni di Ide con gli Stati Uniti, avendo attirato uno stock inferiore a 30 miliardi di dollari nel 2023, una cifra che la pone ben al di sotto di altri Stati membri dell’Ue. Le preoccupazioni condivise sull’eccessiva dipendenza dalla Cina, in particolare nei settori tecnologici e delle materie prime critiche, dovrebbero favorire una cooperazione transatlantica più profonda nello sviluppo di strategie industriali comuni e approcci alla sicurezza economica.
Le politiche statunitensi per accelerare la diversificazione delle catene di approvvigionamento globali lontano dalla Cina, promuovendo il “friend-shoring” con partner fidati, in particolare gli Stati membri dell’Ue, potrebbero creare opportunità di collaborazione più approfondita in settori strategici. Iniziative congiunte nelle tecnologie verdi, nell’innovazione digitale e nelle infrastrutture critiche saranno fondamentali per rafforzare il partenariato transatlantico.
Questo partenariato dovrebbe dare priorità agli investimenti più che al commercio, per stimolare l’innovazione, salvaguardare i vantaggi tecnologici, garantire l’accesso alle catene di approvvigionamento e ai mercati di esportazione, e mantenere congiuntamente capacità produttive strategiche.
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