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L’equilibrismo di Bruxelles nell’era del nuovo Washington consensus

Di Carlo Alberto Carnevale Maffè
farmaceutica

Bruxelles è già stata colpita dalla riduzione drastica degli scambi con la Russia. Il crescente sospetto con cui gli Usa (e non solo) guardano alla Cina minaccia l’equilibrio della globalizzazione tecnologica, rendendo più difficile per le imprese europee mantenere un flusso di scambi e investimenti con Pechino. L’analisi di Carlo Alberto Carnevale Maffè, presidente Fondazione Riccagioia

Se il Nord Atlantico sembra allargarsi, l’Atlantico del sud prova a restringersi; e a una Via della seta interrotta, si sostituisce il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa. La geometria degli scambi globali sta cambiando profondamente, sotto la spinta tettonica dei nuovi equilibri geopolitici e come reazione alle pulsioni neo-protezionistiche che si stanno radicando alla Casa Bianca. L’ascesa di Pechino come potenza economica e tecnologica ha indotto l’amministrazione americana, con un doppio passaggio di testimone da Donald Trump a Joe Biden e ritorno, a rivedere i fondamenti dell’approccio al libero commercio globale, per concentrarsi su un nuovo mix di misure protezionistiche, incentivi industriali e restrizioni agli investimenti e alle tecnologie.

Questo “protezionismo 2.0” è solo la riscoperta di un approccio aggressivo agli scambi internazionali, oppure è una strategia per imporre un nuovo “Washington consensus” incentrato sulla sicurezza economica, sulla difesa delle filiere critiche e sulla tutela della supremazia tecnologica statunitense? L’Inflation reduction act (Ira) e il Chips act rappresentano esempi concreti di una nuova stagione di interventismo economico. Questa strategia, però, non si svolge nel vuoto. L’Ue, tradizionale alleata degli Stati Uniti, si trova ora di fronte a una sfida complessa: mantenere l’allineamento geopolitico con Washington, ma senza perdere l’accesso a mercati critici o subire contraccolpi nelle proprie filiere.

Bruxelles è già stata colpita dalla riduzione drastica degli scambi con la Russia a seguito delle sanzioni post-invasione dell’Ucraina. Inoltre, il crescente sospetto con cui gli Stati Uniti (e non solo) guardano alla Cina – in particolare nel campo dei semiconduttori, dell’intelligenza artificiale e delle infrastrutture per le telecomunicazioni – minaccia l’equilibrio della globalizzazione tecnologica, rendendo più difficile per le imprese europee mantenere un flusso di scambi e investimenti con Pechino.

In risposta a queste pressioni, l’Unione europea sta cercando di diversificare i propri partner commerciali. Uno degli scenari più promettenti, almeno sulla carta, è la finalizzazione dell’accordo di libero scambio con il Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay). Tale intesa, negoziata per oltre due decenni, consentirebbe all’Europa di assicurarsi una nuova fonte di approvvigionamento di materie prime agricole, prodotti manifatturieri e nuove opportunità di investimento in settori emergenti.

È una mossa non priva di ostacoli interni, soprattutto per i timori e le opposizioni che emergono da alcuni settori, come quello agricolo, ma in un contesto di frammentazione globale, mostrare apertura verso il Sud America diventa strategico. Si tratta di un segnale importante anche verso il nuovo governo di Milei in Argentina, con cui l’Europa dimostra di voler mantenere un canale di dialogo e scambio.

Anche le prospettive di sviluppo del corridoio indiano-mediorientale, tornato ancora più sotto i riflettori dopo il cambio di regime in Siria, sono una modalità per controbilanciare la dipendenza dalla Cina, e puntano a rafforzare i legami economici e politici tra l’Europa, l’India e i Paesi del Golfo, creando nuove opportunità di cooperazione in diversi settori.

Il riorientamento americano si riflette in modo particolare sull’Italia. Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato per l’export italiano, subito dopo i partner europei. A differenza di quanto accade nei rapporti con la Cina, il commercio con gli Usa è contraddistinto da un solido attivo commerciale a favore dell’Italia. Questo surplus va considerato con attenzione, perché se l’ondata protezionistica americana dovesse intensificarsi, i primi a pagarne il prezzo sarebbero quei Paesi che, come l’Italia, beneficiano delle barriere tuttora relativamente basse nel mercato nordamericano. La questione non è però puramente commerciale, bensì politica e strategica.

Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca il rischio è che l’Unione non riesca a mantenere un fronte compatto, indebolendo la propria capacità negoziale. La posta in gioco è elevata. Gli Stati Uniti rimangono un partner strategico essenziale per l’Europa, sia per ragioni di sicurezza (Nato) che per la dimensione dei flussi commerciali e d’investimento. Tuttavia, le politiche protezionistiche statunitensi e la revisione delle catene globali del valore rendono urgente per l’Ue definire una strategia coerente.

Da un lato l’Europa non può rinunciare a mantenere un dialogo costruttivo con Washington; dall’altro deve sforzarsi di rafforzare la propria autonomia strategica, consolidando filiere interne e aprendo nuovi canali commerciali. L’accordo con il Mercosur è in tal senso un test cruciale, che se ben gestito potrebbe dimostrare la capacità dell’Ue di reagire alla frammentazione della globalizzazione senza ripiegare su politiche isolazionistiche. L’Italia, nel contesto di questa partita, dovrà muoversi con accortezza.

I toni antagonisti dell’attuale leadership cinese non sono un tema marginale: l’accesso a tecnologie di frontiera, la sicurezza informatica, la tutela della proprietà intellettuale e la stabilità delle catene del valore sono dossier fondamentali per un Paese manifatturiero votato all’export. Tuttavia, la risposta non può ridursi a una semplice replica delle misure americane. Se l’Italia – e con essa l’Europa – sceglie di rinunciare del tutto all’apertura commerciale, rischia di soffocare le proprie imprese esportatrici.

Serve invece una strategia mista: dialogo e negoziato con Washington per evitare un’escalation di dazi; espansione verso nuovi mercati emergenti; salvaguardia dell’unità europea, mantenendo una politica commerciale univoca, in grado di fare peso sui tavoli internazionali. Se il protezionismo 2.0 americano dovesse consolidarsi, l’Europa e l’Italia si troverebbero di fronte a un bivio: seguire, subire o trovare una terza via.

Il nuovo contesto globale offre spunti per ripensare il modello di sviluppo europeo in chiave di maggiore autonomia, diversificazione e resilienza. Ma per cogliere questa opportunità serve un’Europa coesa, capace di agire come un attore unitario nella competizione globale. L’era dei facili dogmi del passato è finita: il nuovo Washington consensus è tutt’altro che acclarato, e la partita per definire i futuri equilibri della globalizzazione è appena iniziata.

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