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Il popolarismo non è né mero centrismo né semplice corrente. La riflessione di Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

In vista del 18 gennaio, data in cui si terrà il raduno organizzato a Milano nel Palazzo della Regione dagli ex Ppi per il lancio di Comunità democratica, la riflessione di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare

La lezione alta e nobile della “resistenza popolare” declinata in maniera diversa ma convergente da Mino Martinazzoli e da Alberto Monticone e Gerardo Bianco (ultimi due che, oltre alla coerenza dei voti nei congressi, fondarono per questo “Italia Popolare” anche in posizione di contrarietà con le decisioni di Castagnetti, Bindi e Marini e non solo, legate allo scioglimento del secondo Partito Popolare Italiano) nella difesa del popolarismo e nella consapevolezza dell’attualità di una presenza organizzata laica cristianamente ispirata, come confermato dai partiti popolari e democratici cristiani tutt’ora protagonisti in Europa, spicca tra le principali indicazioni dell’esistenza di un fiume carsico che si riconosce in questa che è la migliore cultura e identità politica elaborata da cattolici.

Naturalmente, per non ridurla a mero centrismo non aggettivato, che, altrimenti, funzionerebbe a “maglia bernarda, che più la tiri più s’allarga” in ogni direzione interessi, tanto sarebbe mera geografia al servizio dei cambi di idee individuali, occorre ricordare che questa esperienza sta dentro una storia che, preceduta dall’elaborazione dell’ideale democratico cristiano di Toniolo, inizia organizzativamente il 18 gennaio 1919 data in cui ogni anno si ricorda non qualcosa di vago ma la fondazione di un partito autonomo, di cattolici (un partito cattolico non è mai esistito in tali termini e chi usa tale definizione lo fa consapevolmente come forma di contrasto e boicottaggio), il Ppi, capace di archiviare l’epoca dei “cattolici deputati” che, per superare il “non expedit”, si facevano candidare dai liberali: insomma con Sturzo si guadagna con l’onore del pensiero e il coraggio dell’originalità un’autonomia senza la quale ancora oggi, se ci si riduce alla genericità delle formule o a correnti di partito, torneremmo ai “cattolici deputati” col dubbio che, essendo un’etichetta solo a fini elettorali o per trattative interne di partiti lontani dalla visione sociale-cristiana, siano costretti ad un clericalismo sbandierato essendo necessarie più le foto social nelle sacrestie per dimostrare agli azionisti di maggioranza dei partiti una utilità almeno di contrasto a riflessioni che possano mettere in moto un mondo, piuttosto che i discorsi a difesa dei principi indicati dal magistero e che Papa Francesco ha indicato nel suo messaggio al Partito Popolare Europeo come elementi di unità.

Alla luce di questa storia viva la riproposizione della corrente del Pd fondata nel 2021 dall’ex ministro Delrio, la cui produzione legislativa sulle istituzioni è quanto di più lontano si possa pensare dal municipalismo popolare, “Comunità democratica” il 18 gennaio di quest’anno come se nascesse qualcosa di nuovo e unitario di cattolici, è impossibile ricondurla anche solo giornalisticamente a questa storia: essa si pone certamente in continuità, fino ad una situazione prossima alla ricercata irrilevanza per omologazione, con il “prodismo” che ha sempre immaginato la fine della presenza organizzata dei cattolici a favore di un partito unico di sinistra – un po’ il sogno del “cattolici adulti” fautori di una ermeneutica della discontinuità che apparirebbe avere contorni ideologici – prima con il partito dell’Asinello (richiamo al sistema bipartitico all’americana) schierato in antagonismo contro il Ppi, poi con il passaggio de La Margherita da federazione a partito con lo scioglimento del Ppi e lo scioglimento di questa, partito nato un po’ a tempo, col congresso che deliberò che mai ci sarebe stata l’adesione al Pse, infine con la nascita del Pd e l’adesione al Partito Socialista Europeo, massimo interprete di una linea transumanista.

È facile, comunque, ricostruire tutti i passaggi perché esistono libri di autori che li hanno descritti, esaltati e giustificati. Osservando questa condotta si potrebbe dire, però, che nella storia dei cattolici in politica non rappresenta, per quanto riguarda la fascinazione a sinistra, una novità perché, tralasciando l’invito a suicidarsi a servizio della rivoluzione proletaria come “cattolicisti democratici” fatto da Gramsci, in linea con tentativi ed esperienze che sono nati numerosi e di cui ideologicamente si potrebbe intravedere un filo di colleganza, dal Partito dei Comunisti cristiani, ai cristiani per il socialismo, dalla svolta socialista di alcuni dirigenti di associazioni cattoliche stigmatizzata da San Paolo VI, ecc., ciò che è interessante e pure inquietante, è che il centrismo non aggettivato di oggi, cioè lontano dalla formula sturziana, “popolarismo è centrismo e viceversa” con ciò che comporta in termini di autonomia e coerenza – impossibile la scissione – converge con Romano Prodi (che però già riduce ad evento la corrente) proprio sulla riorganizzazione del protagonismo cattolico, che vorrebbe dire superamento delle fratture e probabilmente di loro stessi, una classe dirigente che le ha provocate e presidiate, che, qualche giorno fa alla trasmissione Otto e mezzo su La7 ha affermato: “Ho voluto partecipare in collegamento all’evento ‘comunità democratica’ perché il partito cattolico è anacronistico, c’è bisogno di cominciare a discutere largamente di politica, di programmi, a far partecipare le persone e soprattutto di far diminuire l’astensione. C’è bisogno di cominciare a discutere, sono due anni che non si fa nel Paese. Queste iniziative sono benedette, penso che Schlein lo sappia”. Dunque il messaggio alla segretaria del Pd sembra lanciato (Delrio ha parlato di “spazi” e altri relatori invitati si sono preoccupati di confermare il perimetro del partito), oltre alla punzecchiatura alla presidente del Consiglio Meloni, ma, a proposito di riflessione, un campione del maggioritario, sistema elettorale che ha devastato e polarizzato la partecipazione elettorale italiana, dovrebbe aprire alla valutazione degli errori per dare sostanza e indicare anche a reti territoriali nate con prospettive più alte di una convergenza con una corrente, come la scissione tra partecipazione e rappresentanza sia un problema che porta dietro di sé l’urgenza della battaglia sul principio proporzionale come strumento di rispetto dell’elettorato e allineamento tra sistema italiano ed europeo. Altrimenti si torna sempre sul luogo del delitto, ossia la costruzione in salotto di leadership, ad esempio il lancio giornalistico di Ruffini, solo dentro dimensioni lontane dalle comunità e dai tornanti della storia dove il popolarismo invece ha sempre saputo riorganizzarsi trovando conseguentemente leader capaci e autentici.


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