I timori del docente dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara sul chatbot che ha scosso Wall Street: “Le piattaforme social media possono accoppiarsi a sistemi di Intelligenza Artificiale generativa per l’elaborazione delle informazioni acquisite sugli utenti. TikTok ne è un esempio”
Nelle ultime settimane si è tornato a parlare dell’impatto dell’intelligenza artificiale sullo spionaggio dopo un articolo di Anne Nueberger, ex funzionaria della Casa Bianca. Ne parliamo con Antonio Teti, professore dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara.
Queste tecnologie sono davvero rivoluzionarie per i servizi segreti?
Non posso che concordare con le parole di Neuberger. Stiamo assistendo a una forte accelerazione dello sviluppo di piattaforme di intelligenza artificiale, per impieghi diversi, a livello mondiale. Anche per la conduzione di attività di intelligence, nel prossimo futuro, si ricorrerà all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, soprattutto per la sua capacità di ottimizzare le risorse informative disponibili. Va sottolineato che in diverse agenzie di intelligence sono già in corso delle sperimentazioni dell’intelligenza artificiale e che nel 2021, negli Stati Uniti, la National Security Commission on AI, in un rapporto aveva affermato la necessità di “adottare l’intelligenza artificiale per cambiare il modo in cui difendiamo l’America e per scoraggiare gli avversari”. Nel 2023 è stato il dipartimento della Difesa statunitense ad annunciare la creazione di una task force sull’intelligenza artificiale generativa che ha come mission l’utilizzo della stessa sul piano strategico. Le piattaforme di intelligenza artificiale generativa, grazie ai suoi innovativi modelli linguistici LLM, sono in grado di assumere il ruolo di “moltiplicatore di forze” per le comunità di intelligence.
Quali sono i vantaggi dell’impiego dell’intelligenza artificiale nell’intelligence?
Innanzitutto, l’ottimizzazione dell’efficienza delle attività condotte. L’intelligenza artificiale, infatti, può ricercare, esaminare e incrementare il livello di comprensione dei contenuti delle migliaia di documenti oggetto di analisi quotidiane (intelligence report, dati storici relativi a briefing, dati Osint, Sigint, Geoint, messaggi crittografati, eccetera). Inoltre, può sfruttare algoritmi avanzati per elaborare grandi volumi di dati in pochi minuti, al contrario dell’essere umano che è in grado di leggere circa 250 parole al minuto. L’intelligenza artificiale può anche assistere gli intelligence analyst in una serie di attività, come una maggiore comprensione dei testi in lingua straniera o per individuare rapidamente uno specifico contenuto in un ampio corpus di informazioni, oppure per condurre un’analisi incentrata sulle relazioni tra specifiche entità accertate e la mappatura delle relazioni semantiche.
C’è anche un tema di prestazioni?
L’intelligenza artificiale è in grado di sfruttare algoritmi e modelli LLM per sviluppare previsioni deterministiche e probabilistiche a una velocità non paragonabile a quella umana. Vale come esempio il progetto SABLE SPEAR condotto dalla Defense Intelligence Agency, e basato sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale per identificare i soggetti che operavano nella commercializzazione della sostanza stupefacente fentanyl. Grazie alla piattaforma predisposta dall’agenzia in collaborazione con alcune aziende del settore, è stato possibile analizzare un poderoso set di dati open source che hanno prodotto l’identificazione di una percentuale di aziende coinvolte in attività illecite pari al 100% in più, e con un incremento di persone coinvolte pari al 400% in più. Ci sono poi altri due aspetti.
Quali?
Primo: le nuove intuizioni. La quantità di dati che vengono generati quotidianamente a livello planetario ha assunto dimensioni tali da non poter essere acquisita ed elaborata per trasformarle rapidamente in “prodotti di conoscenza” utili per consentire ai vertici decisionali di individuare le decisioni da assumere. L’intelligenza artificiale può fornire analisi esaustive in tempi ridottissimi, oltre a fornire elementi cognitivi che potrebbero sfuggire o essere trascurati dagli intelligence analyst. Secondo: il supporto alle attività. Le agenzie di intelligence mondiali risentono di una serie di limiti, ormai cronici, derivanti soprattutto dalla limitatezza della disponibilità di figure professionali altamente specializzate, da budget spesso inadeguati per la conduzione delle attività che devono svolgere e dai sempre più pressanti tempi di risposta che devono garantire ai propri vertici. Anche le abituali attività condotte, come i briefing giornalieri, possono risultare macchinose e produrre dei veri propri “colli di bottiglia” per la condivisione delle informazioni. Le capacità delle piattaforme di intelligenza artificiale generativa possono consentire una accelerazione e finanche l’automazione di attività ripetitive. Gli intelligence analyst, per esempio, possono utilizzare l’intelligenza artificiale per produrre dei report che possono essere illustrati attraverso delle modalità e strumenti interattivi, in grado non solo di acquisire ed integrare ulteriori informazioni provenienti dagli utenti coinvolti nelle riunioni, ma anche di trasformarle in nuovi “quadri cognitivi” da memorizzare.
Che ruolo avrà il fattore umano in futuro?
Sarà l’essere umano a deciderlo, come sempre. Le tecnologie di intelligenza artificiale si basano sull’utilizzo di algoritmi che attualmente sono pensati, sviluppati e utilizzati dall’uomo per soddisfare esigenze diverse; di conseguenza è ancora lui il protagonista dello sviluppo della potenza, dell’utilizzo e delle capacità delle piattaforme di intelligenza artificiale. Tuttavia, stiamo già assistendo alla nascita di piattaforme in grado di assumere decisioni sulla base di conoscenze che vengono acquisite autonomamente dall’IA. Se ciò può rappresentare un vantaggio per alcuni versi, allo stesso tempo può limitare l’intervento dell’uomo sulla bontà delle conclusioni assunte dall’intelligenza artificiale. L’uomo rimane sempre l’artefice del suo destino.
Quali sono le sfide etiche e legali legate all’uso dell’intelligenza artificiale nello spionaggio?
Non parlerei di sfide etiche e legali. Mi spiego meglio. L’intelligence, storicamente, rappresenta un settore particolare, in cui si concretizza la fusione di esigenze, obiettivi, risorse, professionalità, capacità, dedizione e le peculiarità di coloro che ne fanno parte. Di conseguenza, gli aspetti etici e legali assumono ben poca rilevanza, dato che le attività condotte dalle agenzie di intelligence sono da sempre considerate “border line”. L’intelligenza artificiale, come ho evidenziato, può rappresentare un volano straordinario per l’elevazione del successo delle attività che svolgono i servizi segreti, soprattutto per quanto concerne la possibilità di velocizzare e migliorare i processi di ricerca, acquisizione e analisi delle informazioni, attività prevalente dei servizi segreti.
Può emergere un diverso uso dell’intelligenza artificiale nello spionaggio tra democrazie liberali e autoritarie?
Ovviamente sì. La diversità maggiore è riconducibile all’utilizzo o meno delle diverse tipologie di informazioni disponibili. In un regime autoritario, com’è universalmente noto, è possibile accedere ad una mole di informazioni impressionante e di vario genere. Non essendo rispettata in alcun modo la privatezza delle informazioni personali, è consentito l’accesso e l’utilizzo di ogni tipo di dato privato e ciò può consentire di raggiungere un livello di conoscenza su persone, comunità, strutture, scenari e ambienti particolarmente approfondito e particolarmente fruttuoso. Al contrario, nei Paesi liberali insistono norme e regolamenti che impediscono l’accesso ad informazioni personali o sensibili. Ovviamente, se nel primo caso le agenzie di intelligence possono contare su repository informativi di particolare valore e spendibilità, nel secondo caso il valore del quadro cognitivo disponibile si riduce drasticamente. Lo sviluppo di piattaforme di intelligenza artificiale, correttamente addestrate con informazioni attendibili e senza limitazioni di sorta, risulteranno quelle più appetibili sul piano dell’utilizzo.
Il settore dell’intelligenza artificiale è stato scosso negli ultimi giorni dal caso DeepSeek, una startup cinese che ha scossato Wall Street. Diverse prove hanno dimostrato il sistema evita risposte dirette o propone versioni che rispecchiano le narrazioni ufficiali del governo cinese su questioni spinose come le proteste di Piazza Tiananmen del 1989, i movimenti a favore della democrazia a Hong Kong o la situazione degli uiguri nel Xinjiang. Come vede questo nuovo tassello della competizione tra le due superpotenze?
Sulle capacità tecnologiche della Cina e sull’utilizzo delle stesse per la conduzione di operazioni di spionaggio e controspionaggio cibernetico ho pubblicato lo scorso anno un libro dal titolo “China intelligence” edito da Rubbettino. Nel libro, per esempio, ho descritto dettagliatamente come il governo di Pechino, mediante la conduzione di attività di spionaggio sia riuscito ad acquisire, soprattutto negli ultimi anni, enormi competenze nello sviluppo di semiconduttori da aziende straniere operanti nel settore. Va sottolineato altresì che la piattaforma DeepSeek è stata sviluppata in soli due mesi, utilizzando 50.000 GPU contro le 500.000 GPU delle Big Tech statunitensi e con un budget inferiore a 6 milioni di dollari rispetto agli oltre 5 miliardi di spese annuali di OpenAI. Nel caso della piattaforma cinese si è parlato di microprocessori meno avanzati e costosi di quelli occidentali, aspetto su cui personalmente nutro forti dubbi, ma ciò su cui si dovrebbe concentrare maggiormente l’attenzione è l’utilizzo massimo delle piattaforme social media cinesi che possono accoppiarsi a sistemi di intelligenza artificiale generativa per l’elaborazione delle informazioni acquisite sugli utenti. TikTok ne è un esempio.
Come mai?
Il social cinese può contare su 170 milioni di utenti americani, un bacino che fa gola a molte aziende come Microsoft, Oracle, Perplexity che attualmente vorrebbero acquisirlo. E qui si innesta un altro elemento di grande rilevanza: quello del soft power, concetto elaborato negli anni Novanta dal politologo Joseph Nye, che rappresenta la capacità di una nazione di esercitare una corposa influenza sugli altri mediante la propria cultura, i valori e le istituzioni, conquistando un livello di consenso pervasivo e di spessore assoluto. Proprio su questo elementi di “cultura digitale” la Cina ha dirottato le sue azioni di propaganda e condizionamento psicologico, condotte attraverso le sue piattaforme social nel tentativo di rafforzare la sua immagine fuori dai propri confini nazionali. Il numero crescente di americani, senza escludere quelli europei, che utilizzano TikTok e RedNote rappresenta un esempio di adozione di tale strategia.