L’accusa: Grande Fratello. La replica: allarmismi ingiustificati. Ma nelle discussioni sulla norma che prevede l’obbligo per università ed enti di ricerca di collaborare con i servizi segreti manca un elemento: il fatto che essa rappresenta un rafforzamento di quanto già sancito dalla legge. Un dibattito che può allargarsi anche a quello sul Consiglio per la sicurezza nazionale
Si è detto e scritto molto dell’articolo 31 del disegno di legge sicurezza che prevede l’obbligo per università ed enti di ricerca di collaborare con i servizi segreti, inclusa la possibilità di derogare alle normative sulla riservatezza. Il testo è dalla scorsa settimana in discussione alle commissioni competenti in Senato dopo l’approvazione della Camera a gennaio. L’accusa al governo è quella di voler instaurare un clima da Grande Fratello. La replica: allarmismi ingiustificati, non viene intaccata l’autonomia degli atenei.
Dal dibattito, però, non è emerso il fatto che l’articolo 31 non arriva come un fulmine a ciel sereno. Infatti, costituisce un rafforzamento di quanto già sancito dell’articolo 13 della legge 124 del 2007 che ha riformato l’intelligence italiana. La norma, infatti, prevede che gli organismi del cosiddetto Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica (composto dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e dalle due agenzie d’intelligence che esso coordina, ovvero Agenzia informazioni e sicurezza interna e Agenzia informazioni e sicurezza esterna) possano interagire con le entità destinatarie di risorse pubbliche e stipulare convenzioni con le università.
L’articolo 31 prevede ora due elementi di novità.
Il primo riguarda la trasformazione di una possibilità a obbligo, per quanto riguarda la collaborazione con i destinatari di risorse pubbliche. Ciò ha a che fare con la preminenza delle esigenze di sicurezza nazionale rispetto a tutte le altre funzioni dello Stato, un concetto ampiamente accettato e sancito dalla giurisprudenza. Per questo, che chi riceve e utilizza risorse dello Stato debba concorrere all’azione dei depositari della sicurezza nazionale appare una conseguenza logica e naturale.
Il secondo elemento di novità è l’ampliamento dei potenziali contenuti di eventuali convenzioni con università ed enti di ricerca alla condivisione (anche) di informazioni di carattere riservato. L’articolo nasce alla luce dell’evoluzione e della novità del ruolo giocato di queste strutture ai fini della sicurezza nazionale. In passato questi potevano concretizzarsi sostanzialmente nella condivisione di risultati di ricerca, fosse questa derivante da attività propria dell’università o sviluppata su input dell’intelligence. Ora, con la sfida a tutto campo introdotta principalmente dalla Cina ma non solo, è quantomeno immaginabile che possa essere necessario allargare i temi di scambio anche a dati sinora considerati riservati (per esempio, su specifici ricercatori e loro contatti). Ciò, va ricordato, sempre nell’ambito di convenzioni per le quali non sussiste obbligo ma solo possibilità e alla stesura delle quali ovviamente concorrerebbero entrambe le parti interessate.
Tutto ciò apre ad alcune considerazioni circa le modalità di applicazione, limiti, procedure, finalità, processi autorizzativi e di controllo. Si tratta di elementi che potrebbe ricadere nelle competenze di un Consiglio per la sicurezza nazionale inteso come organo tecnico inter-amministrazioni incaricato di tradurre in perimetri concreti i lineamenti strategici elaborati dalla politica, con il controllo parlamentare incardinato nel Copasir.