L’obiettivo di Trump è imporre gli Stati Uniti come leader mondiale nella corsa tecnologica. La Cina ospita il 15% del totale globale di aziende di intelligenza artificiale. L’Europa deve affrontare la frammentazione dei suoi membri che ostacola la creazione di ecosistemi tecnologici competitivi e limita la capacità delle imprese europee di espandersi rapidamente, in attesa del vertice internazionale sull’Intelligenza artificiale di Parigi previsto per il 10 e 11 febbraio. L’analisi di Massimiliano Masnada, partner di Hogan Lovells e co-fondatore di Airia
L’intelligenza artificiale rappresenta una delle tecnologie più trasformative del nostro tempo, in grado di ridefinire i paradigmi dell’economia in settori come sanità, industria, trasporti e difesa. Tuttavia, con il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale emergono questioni complesse legate all’etica, alla sicurezza e alla concorrenza globale. Mentre l’Unione europea si prepara a consolidare il proprio approccio normativo attraverso l’AI Act, gli Stati Uniti e la Cina adottano strategie molto diverse, creando un panorama competitivo che pone sfide significative per Bruxelles.
Con il vertice internazionale sull’intelligenza artificiale di Parigi previsto per il 10 e 11 febbraio 2025, l’Ue avrà un’importante occasione per definire il proprio ruolo in un contesto globale sempre più frammentato. Il vertice vedrà riuniti un centinaio di capi di Stato e di governo e un migliaio di operatori della società civile provenienti da un centinaio di Paesi. L’obiettivo è presentare l’Unione europea come il “continente leader dell’IA”, un luogo dove è possibile coniugare il rispetto dei valori fondamentali con lo sviluppo tecnologico al fine di creare maggiore fiducia nei sistemi di intelligenza artificiale. Ma quali sono gli ostacoli al raggiungimento di tale obiettivo e quali sono le principali sfide dell’Ue nel confronto con potenze come Stati Uniti e Cina?
L’AI Act, la prima normativa globale dedicata all’intelligenza artificiale, è il cuore della strategia europea. Esso mira a creare un ecosistema di fiducia, stabilendo standard rigorosi per garantire che l’intelligenza artificiale sia sicura, trasparente e rispettosa dei diritti fondamentali. Tale approccio riflette i valori fondanti dell’Unione europea, ma solleva interrogativi sulla sua capacità di bilanciare innovazione e controllo. La rigidità delle norme europee rischia di rallentare lo sviluppo tecnologico delle imprese locali, rendendole meno competitive rispetto ai giganti americani e cinesi. Ad esempio, i requisiti di conformità previsti dall’AI Act potrebbero aumentare i costi per le start up europee, spingendo molte di esse a trasferirsi in mercati meno regolamentati.
A fronte della regolazione in tema di intelligenza artificiale, persiste inoltre un rilevante divario negli investimenti rispetto a Stati Uniti e Cina. Il neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha recentemente annunciato una joint venture, battezzata Stargate, con OpenAI, Oracle e Softbank al fine di investire miliardi di dollari (500 nei prossimi 4 anni) nello sviluppo di infrastrutture per l’intelligenza artificiale con l’obiettivo di imporre gli Stati Uniti come leader mondiale nella corsa tecnologica. La Cina, dal canto suo, non è da meno rispetto agli investimenti in tecnologia e intelligenza artificiale. Negli ultimi anni, il governo cinese ha dimostrato un forte impegno nel far progredire la ricerca e lo sviluppo nei big data e nell’intelligenza artificiale, in particolare attraverso la promozione di iniziative IA+. Nel primo trimestre del 2024 la Cina continentale ospitava oltre 4.500 aziende di intelligenza artificiale che rappresentavano il 15% del totale globale. E Bruxelles che sta facendo? Finora gli investimenti concreti sono pochi. Nel 2023 il mercato digitale dell’Ue ha raggiunto il volume di 11 miliardi di euro. Nel 2024 sono stati annunciati investimenti addizionali per 4 miliardi di euro fino al 2027, che saranno erogati attraverso i programmi Horizon europe (programma quadro dell’Ue per la ricerca e innovazione per il periodo 2021-2027) ed Europa digitale (programma di finanziamento europeo per l’IA generativa).
Si tratta comunque di una cifra nettamente inferiore rispetto a Stati Uniti e Cina che evidenzia la necessità di maggiori risorse per colmare il gap competitivo. La frammentazione del mercato europeo contribuisce a questa disparità. Mentre gli Stati Uniti e la Cina possono contare su economie di scala grazie a mercati interni vasti e omogenei, l’Europa deve affrontare differenze linguistiche, politiche, culturali e normative tra i suoi Stati membri. Questa frammentazione ostacola la creazione di ecosistemi tecnologici competitivi e limita la capacità delle imprese europee di espandersi rapidamente.
Questa disparità in termini di investimenti e sviluppo rischia di incidere sulla sicurezza e sovranità digitale dell’Unione europea. La riduzione della dipendenza da tecnologie straniere, specialmente in settori strategici come la difesa, la sanità e le infrastrutture critiche non può risolversi esclusivamente con un sistema di regole e sanzioni ma necessita di investimenti e sviluppo al fine di creare un’industria tecnologica autoctona competitiva rende l’Ue vulnerabile agli attori esterni. Oltre agli investimenti, per affrontare queste sfide, si devono promuovere politiche industriali di settore strategiche e coordinate.
La chiave del successo risiede in una combinazione di politiche: aumentare gli investimenti pubblici e privati, favorire la creazione di un mercato unico digitale, trattenere i talenti attraverso incentivi mirati e promuovere collaborazioni internazionali basate sui valori europei. Al tal riguardo, mi piace menzionare il Rapporto Draghi pubblicato a settembre 2024 che valuta la competitività dell’Unione europea, sostenendo che la crescita della produttività è fondamentale per il successo futuro. Il rapporto propone una nuova strategia industriale europea per affrontare queste sfide, concentrandosi sul rafforzamento del mercato unico, sull’allineamento delle politiche industriali, della concorrenza e del commercio, sull’aumento degli investimenti e sulla riforma della governance dell’Ue.
La sfida dell’intelligenza artificiale non è estranea a questa strategia ma anzi ne costituisce una parte integrante e decisiva. Se avremo una politica industriale comune sullo sviluppo dell’IA e sugli investimenti da fare, se applicheremo le norme in modo uniforme e orientato, se ridurremo l’eccessiva burocrazia sui controlli – che giustamente Draghi identifica come uno dei mali della mancanza di competitività dell’Ue – se le nostre imprese e la nostra tecnologia riusciranno ad essere attrattivi per i mercati esteri sfidando le imprese statunitensi e cinesi, non solo sul terreno delle regole e dell’etica, ma anche su quello dei prodotti, in tal caso, in Europa abbiamo le competenze, le capacità e le idee per essere competitivi a livello globale imponendo al mercato un modello virtuoso senza subirne le conseguenze in termini di concorrenza. Il vertice di Parigi del 2025 rappresenta un’opportunità cruciale per rafforzare la posizione dell’Unione europea e dimostrare che l’etica e l’innovazione non sono necessariamente in conflitto. In un mondo sempre più dominato dall’IA, l’Europa deve scegliere se essere un leader globale o un semplice regolatore. La sfida è aperta, ma il tempo stringe.
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