Al di là degli interventi di due ex premier che dovrebbero avere un alto senso delle istituzioni e invece si sono caratterizzati nel dibattito in Aula come se fossimo in un bar sport di periferia, quello che impressiona maggiormente è che sono ritornati i vecchi tic che hanno accompagnato i momenti peggiori della storia della sinistra populista, estremista e massimalista nel nostro Paese. Ovvero, la via giudiziaria al potere. L’intervento di Giorgio Merlo
Adesso lo possiamo dire con sufficiente certezza. Il campo largo, o ex campo largo, è finalmente ritornato. Certo, non è quello auspicato da Dario Franceschini, cioè attraverso i canoni e le regole della politica e dei progetti politici. No, molto più semplicemente si tratta di un ritorno che si basa su tutto ciò che storicamente vengono catalogati come i disvalori della politica. Ovvero, sintetizzando per titoli: insulti, attacchi personali, nessun rispetto per le istituzioni, linguaggio violento e triviale, ostentata superiorità morale e voglia di annientamento del nemico che non è neanche lontanamente un avversario politico ma solo e soltanto un molok da abbattere. Con tutti i mezzi possibili. E lo spettacolo indecente e inguardabile a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi durante il dibattito – si fa per dire – alla Camera e al Senato lo ha platealmente confermato.
Ora, senza entrare nel dettaglio di questi ingredienti, peraltro di dominio pubblico, forse vale la pena ricordare almeno due tasselli di questo profondo degrado dell’istituto parlamentare da un lato e dell’imbarbarimento del confronto politico dall’altro. Sul versante del dibattito parlamentare non possiamo non richiamare l’attenzione sul comportamento concreto che hanno messo in campo i vari capi della sinistra che confermano, in modo persin plastico, la profonda crisi della politica, la caduta di credibilità della culla della democrazia, appunto il Parlamento e, soprattutto, il crescente distacco di larghi settori della pubblica opinione di fronte a questo decadimento etico e culturale della politica italiana.
Stili e comportamenti che evidenziano come i progetti politici sono puri espedienti tattici perché poi il concreto confronto politico esula radicalmente da tutto ciò che si predica e si teorizza sulla stampa compiacente, nei talk televisivi collaterali e nei comizi di propaganda. In secondo luogo il livello del confronto politico. Al di là degli interventi di due ex premier che dovrebbero avere un alto senso delle istituzioni e invece si sono caratterizzati nel dibattito in Aula come se fossimo in un bar sport di periferia, quello che impressiona maggiormente è che sono ritornati i vecchi tic che hanno accompagnato i momenti peggiori della storia della sinistra populista, estremista e massimalista nel nostro Paese. Ovvero, la via giudiziaria al potere, la demolizione dell’avversario, la rivendicata e storica superiorità morale e, in ultimo, il non riconoscimento politico dell’avversario che viene sempre e solo individuato come un nemico da annientare definitivamente ed irreversibilmente. Dai tempi della Dc ad oggi non è praticamente cambiato nulla.
Ora, se questo armamentario tardo ideologico e vetusto fosse sostenuto solo dagli estremisti di Bonelli e Fratoianni e dai populisti dei 5 Stelle non ci sarebbe nulla di strano. Anzi, sarebbero e sono del tutto coerenti con il loro passato. Stupisce, e molto, che questa pericolosa e inquietante deriva venga sistematicamente fatta propria dagli eredi del Pci/Pds/Ds e anche da quei settori centristi che vantano e predicano una concezione alta, nobile e responsabile della politica e soprattutto delle istituzioni. Ecco perché, di fronte a questo scenario reale e non affatto virtuale, l’unico elemento che emerge è che attualmente nel nostro Paese non è ancora possibile inaugurare quella democrazia dell’alternanza che era, e resta, il vero cardine che certifica la maturità e la credibilità di un democrazia.
Perché, a volte, più delle chiacchiere al vento, contano i comportamenti concreti. E quelli declinati dalla sinistra populista, massimalista e radicale in queste ultime settimane confermano che si può anche ricompattare una coalizione – il cosiddetto campo largo – a detrimento, però, della qualità della democrazia, della credibilità delle istruzioni democratiche e della stessa efficacia dell’azione di governo.