La libertà religiosa deve esercitarsi nel pieno rispetto del contesto in cui si vive, degli altri e della laicità delle istituzioni pubbliche. Questo non vuol dire limitarla, ma adeguarne l’esercizio concreto alle esigenze di una società davvero pluralista, multiculturale e multietnica. L’intervento di Antonio Fuccillo, professore ordinario di Diritto e religioni presso Università degli Studi della Campani “Luigi Vanvitelli” e direttore dell’Osservatorio “Enti religiosi, patrimonio ecclesiastico e organizzazioni no profit”
Le scuole di oggi sono frequentate da ragazze e ragazzi di varia provenienza culturale. I nostri giovani imparano così a conoscere “l’altro” e a conviverci. In tale modo si evidenziano anche le diversità religiose, in particolare con l’esibizione di “simboli” indossati o esposti che delineano la propria appartenenza a un culto. Nelle nostre scuole ci si è quindi abituati ad una pacifica convivenza tra tutti. Il caso delle studentesse che vestono il niqāb nella scuola Sandro Pertini di Monfalcone porta agli estremi ciò che già è. Vedere delle ragazze abbigliate con il velo integrale fa porre la domanda di fino a che punto l’esibizione dei simboli religiosi personali negli spazi pubblici condivisi possa arrivare. L’Autorità garante per l’infanzia, Marinella Giannina Terragni, solleva infatti il problema della interazione con gli altri verso il quale il velo integrale sembra creare una barriera a volte insuperabile. La libertà religiosa garantita dall’art. 19 della Costituzione, tuttavia, tutela l’esercizio di tale diritto sia negli spazi pubblici che privati. E quindi ben fa il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, a sollecitare una legge che dimensioni l’esercizio della libertà religiosa nei luoghi pubblici.
La scuola è il luogo per eccellenza dell’interazione tra docenti e studenti e questi ultimi tra loro. Con il buon senso, la preside dell’istituto ha consentito alle studentesse di indossare il velo in classe provvedendo alla loro identificazione in modo riservato. Il discorso, tuttavia, è più generale perché l’esibizione di simboli religiosi può essere variegata. Si può ad esempio chiedere di indossare per ragioni religiose un abbigliamento non conforme ai luoghi e all’attività professionale svolta, basti pensare alle divise professionali o militari, alle attività sportive o a particolari funzioni. Oppure esibire oggetti più o meno ingombranti o strumenti potenzialmente pericolosi, come la vicenda del kirpan (pugnale rituale) ci ha insegnato. Per tali ragioni un esercizio indiscriminato della propria libertà religiosa negli spazi pubblici non è possibile.
È giunto quindi il momento, come ha ben sottolineato il ministro Giuseppe Valditara, che la politica intervenga sul tema. Si produca pertanto una legge che faccia chiarezza su questa delicata questione ovviamente nel rispetto della Carta costituzionale. Un’idea di libertà religiosa senza limiti, infatti, non è più attuale. Essa deve esercitarsi nel pieno rispetto del contesto in cui si vive, degli altri e della laicità delle istituzioni pubbliche. Questo non vuol dire limitare la libertà religiosa ma adeguarne l’esercizio concreto alle esigenze di una società davvero pluralista, multiculturale e multietnica. La scuola quindi al centro delle politiche di inclusione e pacifica convivenza.