L’ipotesi di una coalizione di condivisione di intelligence tra Cina, Russia, Iran e Corea del Nord potrebbe sfidare il tradizionale gruppo dei Five Eyes, grazie all’uso avanzato dell’intelligenza artificiale. La riflessione di Jen Easterly, già direttrice dell’agenzia cyber americana
E se i nuovi Five Eyes fossero i Four Eyes? Ovvero, e se Cina, Corea del Nord, Russia e Iran riuscissero a organizzare un’alleanza di condivisione di intelligence come quella che unisce da ottant’anni, anche grazie alla lingua comune, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti. Un’ipotesi non troppo remota, considerato che l’intelligenza artificiale è in grado di abbattere le barriere tradizionali dell’intelligence e potrebbe permettere ai Crink (l’acronimo di Cina, Russia, Iran e Corea del Nord coniato da Peter Van Praagh, presidente dell’Halifax International Security Forum) di rafforzare la condivisione di informazioni e meglio coordinare alcune operazioni come le campagne di disinformazione.
A riflettere sul tema, con un lungo post su LinkedIn, è Jen Easterly, direttrice della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency, l’agenzia per la cybersicurezza degli Stati Uniti, durante la recente amministrazione Biden. Potrebbe emergere come, scrive, una “coalizione alternativa altrettanto o più potente” dei Five Eyes.
Gli elementi che uniscono le quattro autocrazie ci sono: scambi record tra Cina e Russia (oltre 240 miliardi di dollari nel 2023), forti legami nella difesa e l’amicizia “senza limiti” siglata dai leader Xi Jinping e Vladimir Putin tre anni fa, pochi giorni prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina; collaborazione Iran-Russia sui droni; quella cinese con Iran e Corea del Nord su commercio e armi; forniture militare dalla Corea del Nord alla Russia; esercitazioni militari congiunte di Cina, Russia e Iran a cui si aggiunge il dispiegamento di truppe nordcoreane al fianco di quelle russe impegnate in Ucraina; cyber warfare e campagne di disinformazione che possono sovrapporsi, se non addirittura essere coordinate in certi casi.
“Le mutevoli dinamiche geopolitiche potrebbero spingere questi Stati verso una partnership più formalizzata per la condivisione dell’intelligence”, scrive Easterly. Alla base di questa alleanza “a quattro occhi” ci sarebbero “avversari e interessi strategici comuni, tra cui una maggiore capacità di resistere alle sanzioni economiche e di sostenere le guerre per procura”, prosegue. A fare da collante ci sarebbe l’intelligenza artificiale, capace di assicurare cinque vantaggi secondo l’ex funzionaria: sistemi avanzati di traduzione neurale automatica potrebbero permettere una comunicazione fluida tra le agenzie di intelligence, riducendo gli attriti nella condivisione delle informazioni; strumenti basati su intelligenza artificiale per il riconoscimento vocale e la sintesi vocale potrebbero abilitare una comunicazione diretta e sicura in quasi tempo reale; sistemi di fusione dati guidati dall’intelligenza artificiale potrebbero integrare informazioni provenienti dai database di intelligence di Cina, Russia, Iran e Corea del Nord, analizzando e segnalando le minacce in modo più efficiente; tecniche di riconoscimento dei pattern basate sul deep learning potrebbero contribuire a rilevare movimenti militari degli Stati Uniti e dei loro alleati, vulnerabilità informatiche e punti di pressione economici nelle regioni di interesse; le operazioni di guerra cibernetica potrebbero diventare più precise, sfruttando l’intelligenza artificiale per automatizzare la generazione di malware (come già emerso da un recente rapporto di Google sull’uso della sua intelligenza artificiale, Gemini) e l’infiltrazione nelle reti.
L’ipotesi di un’alleanza d’intelligence, alimentata dall’intelligenza artificiale, tra Cina, Russia, Iran e Corea del Nord potrebbe avere “implicazioni di vasta portata per la sicurezza globale”, scrive ancora Easterly. “L’America deve anticipare questo cambiamento, potenziando le nostre capacità di intelligenza artificiale nell’intelligence e nel controspionaggio per mantenere il nostro vantaggio strategico. Inoltre, dobbiamo garantire la continua vitalità ed efficacia dell’alleanza Five Eyes”, conclude con quello che sembra un monito all’amministrazione Trump che sembra privilegiare l’unilateralismo in nome dell’America First.
Un tema che si intreccia a quello messo in luce da David V. Gioe, ex analista della Cia e oggi professore al King’s College London: l’importanza per gli Stati Uniti della cooperazione con gli alleati anche in ambito intelligence. Il lavoro di collegamento rende “gli Stati Uniti più forti e i loro alleati più capaci e allineati. Una prospettiva transazionale e la ricerca di ‘buoni affari’ non si traducono facilmente nel campo dell’intelligence, dove la fiducia si costruisce a lungo termine e i partner raggiungono il successo attraverso una cooperazione reciprocamente vantaggiosa”, osserva su Foreign Affairs.