L’Unione Europea ha creato una task force per startup e scaleup e ha aperto una consultazione pubblica che si chiude il 17 marzo. Primo obiettivo dichiarato: deliberare il cosiddetto 28° Regime, cioè un sistema di norme unico per le nuove imprese ad alto valore innovativo in tutti i Paesi dell’Unione, per poi arrivare a un Innovation Act. L’intervento di Giovanni Iozzia, direttore Economyup.it e vicepresidente Fondazione Pensiero Solido
Fino alla mezzanotte di lunedì 17 marzo, ora di Bruxelles, i cittadini europei potranno dare il loro contributo di idee e di proposte per aiutare la Commissione Europea a definire una strategia di sostegno per startup e scaleup. Primo obiettivo dichiarato: deliberare il cosiddetto 28° Regime, cioè un sistema di norme unico per le nuove imprese ad alto valore innovativo in tutti i Paesi dell’Unione, per poi arrivare a un Innovation Act. È assai interessante, certamente ambizioso e per certi versi sorprendente questo impegno in una fase in cui nell’Unione prevalgono le spinte centrifughe e le posizioni sovraniste.
Diciamo subito che bisogna sfuggire alla tentazione di rispondere alla chiamata con le parole del presidente Mario Draghi al Parlamento Europeo: “Quando mi chiedete cosa sia meglio fare adesso, io dico: non ne ho idea, ma fate qualcosa!”. La consultazione pubblica lanciata il 17 febbraio è il primo atto della Task Force voluta dalla bulgara Ekaterina Zaharieva, la prima commissaria nella storia della Ue ad avere nella sua delega la parola startup accanto a ricerca e innovazione. Sembra aver preso molto sul serio il suo compito, nello scorso autunno aveva promesso una piattaforma per il confronto fra imprenditori e altri soggetti dell’ecosistema innovazione e l’ha creata (una cinquantina di stakeholder di diverso profilo, tra cui cinque italiani), ci ha messo la faccia ed è riuscita a coinvolgere livelli importanti della Commissione. Merita un’apertura di credito, anche perché l’Europa ha bisogno di recuperare competitività e presidio tecnologico e può farlo solo investendo, e non solo denari, sulle startup e le scaleup, che poi sono le startup con il più alto potenziale di crescita internazionale.
Creare un ambiente favorevole all’innovazione che possa competere con i colossi americani e asiatici non è facile, giunti a questo punto della storia, ma è necessario se si vuole restare in partita nella scacchiera globale. E a ricordarcelo è sempre lì il Rapporto Draghi del settembre 2024. Gli ecosistemi crescono, compreso, quello italiano, ma i ritardi restano ancora significativi, sono noti ma forse non ancora poco interiorizzati dalle nostre leadership politiche.
C’è solo l’imbarazzo della scelta quando si cercano le prove del gap europeo. Le aziende dell’Unione Europea investono circa la metà in ricerca e innovazione rispetto alle aziende statunitensi: a fare la differenza è l’intensità degli investimenti in tecnologia. Solo l’8% di tutte le scaleup globali ha sede nell’UE, mentre circa il 60% si trova in Nord America. Gli investimenti di venture capital (uno dei principali indicatori sullo stato di salute di un ecosistema dell’innovazione perché rappresenta la principale fonte di finanza per le startup) sono cresciuti in Europa (circa 426 miliardi di dollari dal 2015, con un incremento di dieci volte rispetto al decennio precedente) ma la distanza dagli Stati Uniti resta siderale, il rapporto è ancora di 1 a 5.
Non c’è solo una questione di soldi. Nel recente report dell’Europe Startup Nations Alliance (Esna) la prima sfida che viene segnalata per poter far decollare gli ecosistemi nazionali dell’innovazione è la frammentazione del mercato europeo e delle sue normative, oltre alle persistenti barriere linguistiche. Una startup che nasce in Italia, Francia o Germania per poter “scalare” solo in Europa ha a che fare con 27 diversi sistemi fiscali, ad esempio, o inestricabili grovigli amministrativi locali. Questa complessità burocratica aumenta i costi e i tempi necessari per diventare multi-nazionali, limitando la scalabilità delle imprese e, di conseguenza, scoraggiando gli investimenti. Ecco perché molte startup europee preferiscono creare la società in Gran Bretagna o, direttamente, emigrano negli Stati Uniti, specie quando si arriva al momento del collocamento in Borsa. Star fuori dall’Unione Europea in molti casi diventa quasi un vantaggio.
Ecco perché già nel rapporto Draghi si parlava di 28° Regime ed ecco perché è l’obiettivo 1 che si è dato la Commissaria Zaharieva: così come stanno le cose non è pensabile e possibile fare innovazione con un impatto, se non globale, almeno continentale e, quindi, essere realmente competitivi con le big tech statunitensi o i giganti cinesi sostenuti dallo Stato. Con un nuovo quadro giuridico opzionale, con regole unificate e semplificate, valide in tutta l’Ue, si potrebbe arrivare a una forte standardizzazione, dalla costituzione digitale delle società ai processi di investimento fino alla gestione delle attività transfrontaliere delle imprese.
Il lavoro da fare è tanto e non è semplice. Nella call lanciata dalla Commissaria Ue per startup e innovazione sono già indicate diverse aree di intervento, dalla riduzione degli oneri burocratici alla semplificazione dell’accesso ai finanziamenti, dall’attrazione di talenti internazionali al rafforzamento delle relazione fra ricerca e imprese, dal sostegno alle tecnologie emergenti (e non solo l’AI, sta per arrivare ila momento del quantum computing), alla creazioni di ambiziosi progetti europei che coinvolgano startup, aziende, centri di conoscenza e istituzioni pubbliche.
L’Europa s’è desta? Sembra di sì, almeno per quanto riguarda startup e scaleup, ma il risveglio dovrà essere assai rapido per evitare che nuovi ritardi si accumulino ma anche per mettere a tacere le ragioni degli scettici che hanno già visto nei decenni scorsi progetti e liturgie comunitarie che non hanno portato a molto. Come dice uno dei componenti italiani della Task Force (Alberto Onetti, presidente di Mind The Bridge, organizzazione nata all’inizio del secolo proprio per creare un ponte fra Europa e Stati Uniti), molte stelle si sono allineate nella seconda Commissione von der Leyen: leadership politica, disponibilità di ascolto e senso di urgenza. Ma la Commissione da sola non può andare molto lontano, perché ancora tanto è il potere degli Stati. È quindi importante far sentire la voce e le voci di tutti gli ecosistemi, perché questa partita, se si vince, potrebbe diventare il test generale e il modello di una rinnovata e più reale Unione Europea.