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Difesa europea, senza un comando unificato non si va da nessuna parte. L’analisi di Giancotti

Di Fernando Giancotti

L’Europa si trova di fronte a una crisi senza precedenti. La necessità di un’azione concreta diventa urgente, ma l’attuale frammentazione delle capacità militari e l’assenza di un comando operativo interforze impediscono una risposta efficace. Mentre si discute di bilanci, industria ed esercito comune, l’unica soluzione immediata è creare un comando europeo di pianificazione e operazioni, in grado di coordinare le forze nazionali e dare un segnale politico forte. L’analisi del generale Giancotti, già presidente del Centro alti studi per la Difesa (Casd)

In questo mese di febbraio molto è accaduto. Donald Trump, JD Vance e Pete Hegseth hanno operato una rottura senza precedenti degli Usa con l’Europa e l’Ucraina, culminata con la furiosa cacciata di Volodymyr Zelensky dalla Casa Bianca.

La lunga discussione sull’autonomia strategica dell’Unione Europea riceve dai fatti, oltre che dalla inequivocabile e serrata narrazione americana, una niente affatto sorprendente soluzione: l’Europa non ha un ruolo in questo nuovo mondo, mentre i singoli stati sono strategicamente irrilevanti. Dovrà vivere con le conseguenze di scelte altrui, in particolare nel delicatissimo ambito della pace, della sicurezza e della difesa, assicurata negli ultimi ottant’anni dagli Usa. Con una progressivamente crescente insofferenza bipartisan, da lungo tempo osservabile, ora esplosa nei modi trumpiani.

Il “do something!” di Mario Draghi al Parlamento Europeo diviene icona di ciò che serve ora, in particolare per la gestione di questa crisi epocale e per il futuro dell’Europa. Il processo politico dell’integrazione europea, comprensibilmente lungo e complesso, deve realizzarsi almeno per la difesa comune ed esprimere concrete ed efficaci capacità, militari e non solo.

Ma nel frattempo occorre “fare qualcosa”. 

Qualcosa si sta facendo da tempo. Ma certamente non è bastato e men che mai basta ora. Generare la capacità di difendere è un processo profondamente sistemico, di cui i sistemi militari nazionali e la Nato si occupano in modo strutturato. Vi sono articolazioni militari dell’Unione Europea che in qualche misura sviluppano un processo simile, l’EU Military Staff e l’European Defence Agency, ed esiste una capacità per la pianificazione e la guida di operazioni minori, la Military Planning and Conduct Capability. Ma le dimensioni e il focus di tali risorse sono per operazioni su piccola scala e totalmente inadeguate a una minaccia strategica.

Molto si parla di incrementi dei budget della difesa, certamente necessari a fronte della nuova situazione. Ma la deterrenza non la fanno i bilanci: la fanno le capacità operative, una buona pianificazione strategica e una costante addestramento congiunto. Trasformare il bilancio in capacità è processo lungo e complesso, non adeguato al “fare qualcosa” subito.

Molto si parla di integrazione e competitività dell’industria della difesa europea.  Diversi programmi sono in sviluppo, anche con dotazioni finanziarie significative: European Defence Fund, European  Defence Industrial Development Program, European Defence Technology and Industrial Dependencies Program, European Defence Industry Reinforcement through Common Procurement Act e altro. Anche in questo caso, ciò è necessario quanto insufficiente.  Perché l’effetto di tali investimenti sulla capacità operativa sia significativo, serve un lungo processo di integrazione e innovazione. Soprattutto serve tempo.

Si parla anche delle operazioni UE: attualmente 21 missioni operative, di cui 12 civili e 9 militari, con circa 4.800 partecipanti. Pur in media funzionali agli scopi assegnati e condotte con professionalità, tali operazioni non hanno alcuna diretta rilevanza rispetto al nuovo quadro strategico.

Si parla dunque di bilanci, di industria, di un futuro e indefinito “esercito comune”, di una mitica “Europa della difesa”, con revisione dei trattati e molto altro, in un imprecisato futuro. Non si parla, almeno nel dibattito pubblico, dell’unica cosa che conta davvero in caso di emergenza: le capacità militari.

Che ci sono, di buona qualità e a standard operativi generalmente elevati. Gli stati membri UE hanno speso nel 2024 326 miliardi di Euro per la difesa, oltre il doppio di quello della Russia, pure in guerra. Certamente frammentate, con gap capacitivi molto rilevanti, ma ciononostante una forza militare assolutamente rispettabile. Qualora fosse impiegabile. Purtroppo non lo è. Perché le manca il cervello. 

Infatti, come recita l’EU Concept for Military Command and Control del 2019: “The EU does not have a standing military Command and Control (C2) structure for military executive operations, therefore clear and effective C2 arrangements are needed to ensure the successful planning and conduct of military CSDP missions …  and operations”.

L’Europa ha bisogno di un comando operativo interforze, con i suoi comandi di componente terrestre, marittima, aerea, spaziale e cyber. Esso deve sviluppare una pianificazione strategica e operativa per il teatro europeo, integrando e addestrando le forze, conducendo esercitazioni e rilevando i gap capacitivi da colmare. Un tale comando sarebbe in grado di ottimizzare considerevolmente la risposta delle forze armate dei singoli stati con una logica di sistema. Il comando sarebbe inoltre di indirizzo e concreta catalizzazione, dal campo, dei processi di sviluppo dell’Europa della difesa: per i bilanci (non facile spendere bene tanti soldi…); per l’industria europea, orientandola al cliente; per le capacità abilitanti, come le funzioni chiave Istar (Intelligence, Surveillance, Target Acquisition, Reconnaissance), la mobilità strategica, l’interoperabilità e altro.

Il comando potrebbe essere costituito in tempi relativamente brevi, poiché vi è ampio know-how. Anche in Italia, con il nostro Joint Force Headquarter, seppure per Small-scale Operations. I militari europei sono addestrati e formati per operare insieme, nella Nato, nelle scuole comuni, nei comandi UE. Le risorse umane, nell’ordine di grandezza del migliaio di persone, sarebbero tratte da un bacino di circa 1.5 milioni di militari di tutti i Paesi membri. I costi sarebbero certamente contenuti rispetto ai grandi programmi industriali citati e ad altri investimenti per la difesa.

Ma soprattutto un tale comando costituito in tempi brevi sarebbe quel “do something” che serve all’Europa per iniziare a credere in sé stessa, acquisire una iniziale, credibile capacità di dissuasione e per segnalare agli alleati l’assunzione di responsabilità richiesta: un segnale politico molto forte. Non dovrebbe essere necessariamente dichiarato “contro” nessuno, né contro la Russia o la Cina, né tantomeno l’America di Trump. Anzi, di questa raccoglierebbe gli “inviti”. Sarebbe piuttosto per l’Europa stessa, che si fa adulta. L’impianto concettuale “Berlin Plus”, che prevede l’uso di capacità Nato da parte dell’UE, potrebbe rimanere. La Nato ha già la sua consolidata struttura di Comando e Controllo, a cui la nuova capacità C2 potrebbe ipoteticamente contribuire per specifiche esigenze. L’approccio all’iniziativa dovrebbe essere a 27, ricercando la difficile unanimità. Solo allorché veti o indisponibilità lo rendessero impraticabile, si transiterebbe alla formula della Cooperazione rafforzata, prevista dalle norme comunitarie e abilitante una “coalizione dei volenterosi” tra i Paesi UE, salvo successive adesioni. Tra i volenterosi, sarebbe quantomai opportuno trovare il modo di includere il Regno Unito, con le sue capacità operative di eccellenza, facendo leva sulla convergenza strategica esistente. 

Infine, la delicata questione della direzione unitaria della politica di sicurezza e difesa comune: chi assegnerà la missione e assicurerà la coerenza delle direttive per il nuovo comando?

L’idea è che se quelle forze dovranno mai combattere, sarà per un’emergenza esistenziale per l’Europa. In una tale situazione, la coesione emergerà con grande probabilità per la sopravvivenza, come è recentemente accaduto all’inizio della guerra in Ucraina. Tuttavia se non ci si prepara prima, non ci sarà certamente tempo di farlo al momento. La responsabilità di questa scelta e della definizione delle linee politico-strategiche per questa preparazione ricade sulla leadership politica delle nazioni europee.

Questo ”do something” parte dal guidare e integrare le capacità operative nazionali già disponibili, per saldarsi con i programmi strategici per la difesa europea più a lungo termine. Oltre al forte segnale politico, esso produce un processo di crescita organico, radicato nella realtà operativa, piuttosto che in astratti, infiniti dibattiti o nelle stanze di pur volenterosi funzionari. Un Comando e Controllo europeo è la migliore e più rapida via per quella dissuasione che, insieme alla distensione, dobbiamo imparare a usare assai meglio che nel passato e stavolta anche da soli. Tutto ciò va fatto subito, perché l’Europa deve rialzarsi ora. La finestra di vulnerabilità da parte della minaccia è già aperta e la sua probabilità non può affatto essere esclusa dal calcolo strategico. In cui, come appare evidente, non potrà essere inclusa la disponibilità di risorse altrui per la nostra sicurezza. 


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