Due esempi recenti – le polemiche sulle Olimpiadi di Parigi e le ingerenze nelle elezioni rumene – mostrano come politici e media italiani possano, consapevolmente o meno, amplificare la propaganda ostile. La vera difesa passa dalla consapevolezza e dalla responsabilità della classe dirigente. Il commento di Elio Vito, già membro del Copasir
La Relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza, appena presentata al Parlamento dall’apposito Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, offre lo spunto per svolgere alcune riflessioni sui rischi e le minacce che incombono sul nostro Paese, in un contesto internazionale particolarmente complesso e sconvolto da alcuni avvenimenti (a partire dall’invasione russa dell’Ucraina).
La Relazione ha il pregio della chiarezza e della sinteticità, espone senza tanti giri di parole e senza mezzi termini questi rischi, con l’ausilio di infografiche che ne agevolano la lettura.
Mi auguro che le Camere, come prevede la legge, esaminino approfonditamente e discutano francamente questo prezioso documento, non riservando tale compito solo al pur valoroso Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Mi soffermerò, qui, su un aspetto particolare della Relazione, la minaccia ibrida che incombe sul nostro Paese e, più in generale, sulle democrazie liberali occidentali.
La Relazione spiega come la minaccia ibrida trovi nelle campagne di disinformazione un mezzo particolarmente attivo, invasivo ed insidioso. Lo scopo di tali campagne è “seminare la sfiducia verso le istituzioni nazionali ed europee e colpire i valori su cui si fondano le democrazie occidentali e la stessa Ue”.
Queste campagne di disinformazione, che provengono, direttamente o indirettamente, da attori stranieri, più o meno statuali, soprattutto facenti capo alla Russia (ma anche a Cina e Iran) vengono condotte prevalentemente sui social. Nello scorso anno si sono manifestate in diverse occasioni, a partire dalle elezioni europee, al vertice del G7, al sostegno della narrazione dei Paesi Brics, alle Olimpiadi di Parigi.
Le misure di contrasto, mitigazione e prevenzione di tali campagne, che pure vengono prontamente messe in campo, sono esposte, è detto con lucidità nella Relazione, al rischio di poter paradossalmente accreditare le stesse campagne di disinformazione. Alcuni provvedimenti regolatori e di chiusura dei social possono, infatti, diminuire le libertà di espressione e i valori della nostra società e finire per screditare le democrazie occidentali, che è esattamente lo scopo che si prefiggono le minacce ibride.
La principale e più efficace risposta, dunque, alla minaccia ibrida e alle campagne di disinformazione può derivare solo dalla consapevolezza collettiva di tali minacce, della loro pericolosità e pervasività. Una consapevolezza che deve avere soprattutto la classe dirigente del Paese, nei vari campi della politica, dell’informazione, delle imprese. E qui occorre dire che non sempre tale consapevolezza si è manifestata. Porterò due esempi.
Durante le Olimpiadi di Parigi sono state messe in campo campagne di disinformazione volte a screditare il Comitato olimpico internazionale (che aveva escluso le rappresentative nazionali russe) e la stessa organizzazione francese della manifestazione sportiva. Ebbene, vari media italiani e diversi esponenti politici e di governo italiani, durante i giorni delle gare, si sono “accodati” alla campagna di disinformazione, da una parte per un malinteso senso di rivalità politica nei confronti dei cugini transalpini, dall’altra per combattere il modello aperto ed inclusivo proprio della principale manifestazione sportiva internazionale, modello alla base dei principi fondamentali di eguaglianza, libertà, rispetto, accoglienza e solidarietà. Si è trattato di ignoranza o di malafede, da parte dei nostri politici e giornali? Personalmente, propendo per la seconda, più grave, ipotesi.
Un secondo esempio viene dal recente annullamento delle elezioni presidenziali rumene, da parte della Corte Costituzionale di Bucarest, a seguito delle notevoli e documentate ingerenze sulla campagna elettorale e sullo stesso procedimento elettorale. La Relazione illustra bene, con completezza e da fonti ufficiali, queste pesanti ingerenze a favore del candidato filorusso Călin Georgescu (ieri il Servizio di intelligence estero russo, Svr, ha diffuso un’insolito nota accusando l’Unione europea di essere “chiaramente” dietro la decisione della Corte; è “assolutamente inaccettabile che un servizio segreto russo prenda posizione in merito alle decisioni adottate dalle autorità romene”, ha dichiarato il governo rumeno).
Purtroppo, anche in questo caso, esponenti di governo italiano (segnatamente il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini) e alcuni nostri organi di informazione si sono espressi contro l’annullamento delle elezioni presidenziali rumene. In questo modo, però, si fa chiaramente il gioco delle campagne di disinformazione e dei loro promotori, campagne e promotori stranieri che minacciano le nostre democrazie.
In conclusione, la Relazione denuncia apertamente, probabilmente come mai era avvenuto prima, la minaccia ibrida e i rischi che stiamo correndo. C’è solo da sperare che questa denuncia non cada nel vuoto, e che chi, per i ruoli che ricopre, ha il potere e il dovere di contrastare tale minaccia, non finisca, invece, per sostenerla ed amplificarla.