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Il nuovo patto sociale passa per l’intelligenza artificiale. L’intervento di Brunetta

Di Renato Brunetta

Serve un nuovo grande “patto sociale”, capace di colmare il vuoto determinato dalla desertificazione dei corpi intermedi classici. Un patto che coniughi progresso tecnologico, sviluppo economico, efficienza, produttività, inclusione sociale, per un futuro in cui l’intelligenza artificiale sia strumento di benessere condiviso e di crescita sostenibile. Pubblichiamo l’intervento di Renato Brunetta, presidente del Cnel, in occasione dell’evento Emtech Italy 2025, Human & tech, organizzato da Mit Technology Review e dall’Università Campus Biomedico di Roma

Jean Monnet ci ha insegnato che “l’Europa si è forgiata nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per quelle crisi”. Questa citazione risuona profondamente, oggi più che mai, in un momento storico complesso e cruciale per il nostro continente, e non solo.

Ma, spesso si dimentica che molte delle soluzioni che hanno plasmato l’Unione Europea durante periodi difficili hanno avuto origine proprio dall’Italia.

Penso, tra gli altri, al Consiglio europeo di Roma del 1975, che ha aperto la strada all’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo, all’Atto Unico Europeo scaturito dalla riunione conclusiva del semestre italiano di Presidenza Ue di Milano (28 e 29 giugno 1985). O al vertice dei Capi di Stato a Roma (14 e 15 dicembre 1990) che pose le basi per la firma del Trattato di Maastricht, avvenuta il 7 febbraio 1992. O al 29 ottobre 2004, quando la Capitale ospitò la firma del Trattato e dell’Atto finale che istituiva una Costituzione per l’Europa. E ancora, era il 25 marzo 2017 quando i leader dei 27 sottoscrissero la “Dichiarazione di Roma”, celebrando il 60° anniversario dei Trattati e rinnovando la fiducia nel progetto di un’Unione “indivisa e indivisibile”.

Questi momenti non sono solo capitoli della storia, ma pietre miliari fondamentali della nostra integrazione europea.

Come ha correttamente osservato Draghi: “Per far fronte alle (attuali) sfide (..) dobbiamo agire come se fossimo un unico Stato”, ricordandoci l’urgenza di razionalizzare e di innovare per affrontarle.

La situazione geopolitica richiede, dunque, non solo una maggiore sicurezza, ma anche una posizione competitiva rafforzata nell’economia globale. L’Europa deve colmare un gap tecnologico con Stati Uniti e Cina, bilanciando la transizione ecologica con la crescita economica.

Queste sfide richiedono investimenti massicci e un’impostazione agile e tempestiva delle politiche (scala e tempestività).

Un esempio significativo viene dalla proposta di un’amica ospite dell’iniziativa, che saluto: Maria Chiara Carrozza – presidente del Cnr. Insieme al premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi ha suggerito di adottare il modello del Cern di Ginevra per valorizzare l’immenso patrimonio europeo di competenze. Un approccio che potrebbe ridurre l’attuale dipendenza tecnologica e rafforzare il ruolo attivo dell’Europa nel nuovo scenario geopolitico globale. Il “modello Cern” potrebbe infatti essere applicato a settori chiave, come l’intelligenza artificiale, per favorire un progresso condiviso e strategico. Ma non basta.

Servono azioni coordinate a livello europeo, un piano ambizioso che miri – come ho recentemente sostenuto in un articolo su Il Sole24Ore –  al 5% del Pil europeo per investimenti strategici per sostenere non solo la nostra sicurezza e difesa, ma per posizionarci come leader nelle tecnologie avanzate, cruciali per il nostro futuro comune.

La storia dell’Europa affonda le proprie radici in un lungo percorso di evoluzione democratica, di pensiero critico e di costruzione di “istituzioni” che hanno plasmato il mondo moderno.

Il Vecchio continente è custode di un immenso patrimonio scientifico e culturale, testimoniato dalle sue città storiche, dai musei di fama mondiale e da una straordinaria varietà di tradizioni artistiche, letterarie e filosofiche che hanno influenzato – e continuano a influenzare – il panorama globale.

Ma l’Europa non è solo memoria del passato: è anche un potente motore di innovazione e ricerca. Dalle prime università medievali – come Bologna – che hanno gettato le basi del sapere moderno, ai grandi scienziati del Rinascimento, quali Copernico e Galileo.

Dall’Enciclopedia illuminista che ha reso il sapere accessibile e sistematico, alle grandi scoperte della chimica e della medicina, come la teoria microbica (1857-1861) di Pasteur o la penicillina di Fleming (1928), che hanno trasformato la nostra qualità della vita.

Nel XX secolo, il Vecchio continente ha continuato a essere all’avanguardia: dalla scoperta del Dna (1953) di Watson e Crick – che avrebbe cambiato la storia della scienza e della vita dell’uomo – alla creazione del Cern (1954), che ha dato vita al World Wide Web e continua a spingersi ai confini della fisica delle particelle.

Preservare e valorizzare questo patrimonio di ingegno e creatività è essenziale per garantire un futuro in cui l’Europa continui a essere protagonista dell’innovazione globale, non solo come custode della propria eredità, ma come laboratorio di progresso e di nuove frontiere del sapere.

Tali elementi candidano l’Europa non solo quale “depositaria” della più antica tradizione culturale, ma come la più antica cultura del futuro, capace di coniugare il passato con le sfide di un mondo in continua trasformazione. In tale contesto, l’Italia può – e deve – giocare un ruolo centrale in questo nuovo capitolo europeo.

Questa è la lettura di un economista che ha l’onore di presiedere il Cnel – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, organo di rilievo costituzionale che funge da “osservatore” indipendente e, al contempo, “promotore” e “agente stimolatore”.

Perché il Cnel – la “casa dei corpi intermedi”, è interprete della realtà e delle sfide contingenti e future – mi riferisco a tre transizioni:

  • green,
  • digitale (IA e non solo),
  • demografica… alla quale, in aggiunta alla glaciazione demografica, si affianca l’emigrazione dei nostri giovani con effetti macroeconomici significativi di riduzione potenziale di crescita, rendono più difficile il raggiungimento e il mantenimento della sostenibilità del debito pubblico.

Oltre che al panorama geopolitico estremamente complesso.

Tornando al tema del nostro evento, non è più tempo di nostalgie luddiste, figlie della paura del nuovo e di rigide ideologie. Il mondo digitale ha archiviato il paradigma contrappositivo tra capitale e lavoro, sostituendolo con uno spazio cooperativo in cui i lavoratori possono identificarsi con gli obiettivi d’impresa verso un welfare orientato ai bisogni, alle aspirazioni e alle ambizioni individuali, con forme di retribuzione premiale e meccanismi di coinvolgimento attivo.

Gli effetti della IA generativa sulla produttività sono stimati come elevati e si declinano trasversalmente nei diversi settori, alcuni dei quali sono oggetto di queste due giornate:

  • l’IA nel settore sanitario – dalla diagnostica avanzata alle diagnosi predittive, fino ai trattamenti personalizzati;
  • il ruolo dell’IA per il benessere delle persone e delle comunità – dallo sviluppo urbano intelligente alla gestione sostenibile delle risorse, alla creazione di ambienti più salubri ed efficienti;
  • il settore energetico, dall’ottimizzazione dei processi di produzione, distribuzione e consumo, all’efficienza e riduzione dell’impatto ambientale.

Tra le diverse “opportunità” condivido con voi un nuovo progetto del Cnel: «Opera», acronimo di Osservatorio delle Politiche e Relazioni Industriali per l’Intelligenza Artificiale Partecipativa.

E ancora, Lord Kelvin, fisico e ingegnere britannico,  sosteneva: “Non si può migliorare ciò che non si può misurare”. Per questo vogliamo creare un database di casi aziendali di applicazioni di IA partecipativa che prevedano il coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti finali e delle comunità nel processo di sviluppo, implementazione e utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale.  L’obiettivo è capire:

  • COSA è stato fatto
  • DOVE è stato fatto
  • QUANDO è stato fatto
  • COSA ha prodotto.

L’analisi dei casi aziendali permetterà di valutare l’impatto dell’IA sulla:

  • produttività: ovvero i guadagni di produttività conseguenti all’introduzione dell’IA in termini di inclusione equità e sostenibilità
  • organizzazione del lavoro e qualità del lavoro, per elaborare proposte di linee guida e best practiceper la gestione dell’IA,

favorendo lo scambio di buone pratiche e di proposte con stakeholder nazionali e – prospetticamente – internazionali, oltre che un dialogo con le istituzioni sovranazionali, quali il Cese – Comitato Economico e Sociale Europeo. Sono fermamente convinto che la rivoluzione dell’IA si possa sviluppare in forma sostenibile se la distribuzione dei “guadagni di produttività” sarà efficiente, equa e inclusiva. È, dunque, necessario un approccio di IA partecipativa, che stimoli un ecosistema dell’innovazione garante delle democrazie, centrato sulla persona.

Qualcuno potrebbe chiedere: “Perché”? Perché l’intelligenza artificiale con una componente partecipativa conviene… a tutti!  Perché è più inclusiva, più produttiva, meno conflittuale. Perché è più efficiente e più comunitaria. In una parola: più democratica.

Un’intelligenza artificiale in chiave human-centred  può essere il volano per una maggiore coesione sociale, che a sua volta favorisce la crescita. Serve un nuovo grande “patto sociale”, capace di colmare il vuoto determinato dalla desertificazione dei corpi intermedi classici. Un patto che coniughi:

  • progresso tecnologico,
  • sviluppo economico, efficienza, produttività,
  • inclusione sociale,

per un futuro in cui l’intelligenza artificiale sia strumento di benessere condiviso e di crescita sostenibile. Più produttività, più crescita, più diritti, più coesione e più benessere per tutti.

Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nella conclusione del Manifesto di Ventotene, uno dei documenti fondativi dell’unità europea, scrivevano: “La via da percorrere non è facile (..). Ma deve essere percorsa, e lo sarà!”.

Vale lo stesso per noi oggi. L’’Europa: la più antica cultura del futuro.


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