A Luigi Gurakuqi, figura che ebbe ruoli importanti nel rinascimento e nella politica del “Paese delle Aquile”, è dedicato l’ultimo libro del prof. Gaetano Dammacco, “Il caso Gurakuqi. Un delitto politico tra Albania e Italia a Bari nel 1925”, pubblicato da Stilo editrice. Una scrittura che si situa tra la cronaca fatta con acribia da giornalista di nera, il legal storytelling e il giallo, governata da una freschezza di stile distante dall’approccio ex cathedra e attenta alla narrazione affabulatoria
Gaetano Dammacco è uno stimato ordinario di diritto Ecclesiastico e Canonico nell’Università di Bari, la cui scrittura è coerentemente rivolta alle discipline che sono oggetto del suo insegnamento e della sua ricerca, con qualche escursione verso orizzonti limitrofi nell’area del diritto pubblico.
Da tempo è impegnato nel dialogo con l’Albania, un rapporto che investe la dimensione accademica ma anche le dinamiche sociali e culturali di un Paese che dista da Bari via mare più o meno quanto Matera via terra. Questo filo, che qualche lustro fa – parliamo dell’agosto del 1991 – avrebbe fatto sbarcare nel porto di Bari 20.000 albanesi in fuga dopo la caduta del regime di Enver Hoxha, il più grande arrivo di migranti con una sola nave mai avvenuto su suolo italiano, in verità è risalente nel tempo ed ha lasciato importanti testimonianze e ricordi nella sponda pugliese dell’Adriatico.
Una di queste ci rimanda ad un intellettuale di Scutari, Luigi Gurakuqi, figura che ebbe ruoli importanti nel rinascimento e nella politica del “Paese delle Aquile”. A lui, e alla sua morte avvenuta a Bari a seguito di un attentato, Dammacco dedica il suo ultimo libro, “Il caso Gurakuqi. Un delitto politico tra Albania e Italia a Bari nel 1925” per i tipi di Stilo editrice. Siamo in uno spazio di scrittura che si situa tra la cronaca fatta con acribia da giornalista di nera, il legal storytelling e il giallo, governata da una freschezza di stile distante dall’approccio ex cathedra e attenta alla narrazione affabulatoria. Chi era, dunque, questo personaggio, che ebbe più ruoli di governo e di guida nella nuova Albania e a cui i connazionali riconobbero la dignità di eroe nazionale, che amò tanto l’Italia da inimicarsi in patria fazioni politiche avverse? Dammacco lo racconta con un ritmo incalzante che ricorda i migliori narratori noir della nuova generazione post-camilleriana.
Gurakuqi nacque a Scutari nel 1879 e studiò dai gesuiti del collegio Saveriano della sua città natale, mostrando fin da subito una particolare attitudine per la scrittura in forma di poesia, per il latino e per la lingua italiana che continuò a studiare nel collegio italo-albanese di Sant’Adriano, a San Demetrio Corone, nel cosentino, una fucina di intellighenzia albanese. Successivamente fu a Napoli per studiare Medicina, ma prese la laurea in Biologia. Fu nella capitale campana che entrò in contatto con connazionali impegnati in politica e cominciò a pubblicare poesie. Il ritorno in Albania di Gurakuqi risale al 1908, dopo la rivolta dei giovani turchi che accompagnò l’ultima stagione dell’impero ottomano già in fase di declino, agevolando gli aneliti indipendentisti dei patrioti albanesi, che videro il poco più che trentenne intellettuale di Scutari tra i leader del movimento nazionalista. L’avventurosa vita di Gurakuqi vedrà un’alternanza di impegni politici – fu ministro più volte, a cominciare dal primo governo dell’indipendenza albanese del 1912, con il dicastero dell’Istruzione, seguito dall’incarico in quello dell’Economia nel 1924, con il governo rivoluzionario che rovesciò Zogu – con impegni letterari e relazioni diplomatiche a tutela degli interessi nazionali. Fu esule a Bari dove trovò la morte il 2 marzo del 1925 per mano di un sicario di nome Stambolla, che ebbe come mandante il re Zogu, tornato a governare da despota il Paese delle Aquile.
La figura di Gurakuqi, che, come ricorda nell’introduzione il console albanese a Bari Vasjari, venne spesso paragonata a quella di Giuseppe Mazzini, viene raccontata da Dammacco con rigore e completezza, avendo riguardo alle sue molteplici sfaccettature di credente, intellettuale, politico e, soprattutto, patriota, senza trascurare la descrizione del contesto storico europeo, italiano ed albanese in cui la storia va a collocarsi. Ma ciò che fa prezioso questo libro è l’appassionante narrazione di un processo, che si tenne a Bari, pieno di colpevoli lacune e contraddizioni, tanto da giustificare un’espressione che può essere considerata l’incipit dell’intera narrazione: “Quell’Italia tanto amata nella sua vita è diventata complice della sua morte”..
Era l’Italia del nuovo regime mussoliniano, che aveva l’anno prima mutato la sua natura, da autoritaria a totalitaria, dopo l’assassinio di Matteotti e il minaccioso e tristemente celebre discorso del Duce a Montecitorio sull’ “Aula sorda e grigia”. Il regime avrebbe mandato a casa l’assassino, con la complicità necessaria della magistratura e della stampa, sacrificando la verità e la giustizia ad una ragione di Stato poggiata sulle intese tra Mussolini e Zogu. Quattordici anni dopo Mussolini avrebbe invaso la piccola nazione che di fatto rappresentava un protettorato italiano, con a capo lo stesso Zogu del 1925, per allargare all’Adriatico il suo impero.
Dammacco con questo libro avvincente come un romanzo noir ma rigoroso come un saggio scientifico, rende onore a un patriota ed eroe albanese, portatore di una modernità che solo oggi forse riesce ad essere valutata appieno. Un albanese “occidentale”, che amava l’Italia. Una operazione di risarcimento, necessaria, verso un popolo amico che il popolo barese ha imparato a conoscere nel corso dei secoli.