Sarà nella seconda metà di questa settimana che verrà con tutta probabilità resa nota la sentenza che chiude la fase istruttoria del processo a Paolo Gabriele, l’assistente di Camera di Sua Santità accusato di aver trafugato e “girato” alla stampa dei documenti dall’appartamento papale e dalla segreteria di Stato. Sarà con tutte le probabilità un rinvio a giudizio. E tutte le notizie che giungono alla stampa raccontano di un Paolo Gabriele pentito, che avrebbe detto di aver agito completamente da solo, che avrebbe ammesso di essere lui il “corvo” che si era fatto intervistare a volto coperto e voce contraffatta alla trasmissione Gli intoccabili di Gianluigi Nuzzi, e che avrebbe detto di essere stato solo lui “Maria”, la fonte di Gianluigi Nuzzi che ha fornito il materiale per il libro del giornalista Sua Santità.
Sono notizie che difficilmente trapelano dal Vaticano, attentissimo a mantenere il segreto nella fase istruttoria del procedimento, e ancora più attento a mantenere distinte le prerogative di giudici e gendarmeria – per quanto riguarda Paolo Gabriele – e della commissione cardinalizia incaricata da Benedetto XVI di far luce su quanto è accaduto all’interno delle Sacre Mura. Più probabilmente, sono notizie che vengono fuori per avvalorare la tesi della difesa dell’azione solitaria, che potrebbe portare persino al perdono del Papa che Paolo Gabriele ha già richiesto. Ma la logica va contro la tesi dell’esecutore solitario. Perché se pure Paolo Gabriele sia stato colui che ha portato i documenti all’esterno, è anche vero che difficilmente si fanno azioni di questo genere se non spinti perlomeno da un “ambiente” che incoraggia, seppure tacitamente, l’operazione. Non c’è necessariamente stato un ordine esplicito. C’è stato magari solo un incoraggiamento “morale” che ha spinto Paolo Gabriele a dare i documenti. Perlomeno all’inizio. Perché i canoni dell’operazione poi sembrano essere sfuggiti di mano. Troppi documenti usciti tutti insieme rappresentano un’operazione che non sa di certo di Vaticano, dove gli attacchi – se ci sono – sono chirurgici, e dove difficilmente si riesce a risalire alla catena delle responsabilità.
Sarebbe dunque stato per una leggerezza che Paolo Gabriele avrebbe scoperto il suo gioco. E, mentre giudici e gendarmeria portavano avanti la fase istruttoria, la commissione cardinalizia analizzava il mondo vaticano, faceva audizioni (almeno una trentina) e delineava chi erano gli “scontenti” del Vaticano. Un esterno può delinearli solo per logica, in assenza di altri riscontri. E la logica dice che gli scontenti sono genericamente due categorie. La prima è quella dei cosiddetti “diplomatici”, messi in ombra da quando c’è Benedetto XVI: la segreteria di Stato è stata data a Bertone, un canonista; il lavoro diplomatico è sostanzialmente cambiato; alcuni dei più prominenti diplomatici dell’era Wojtyla sono stati messi in pensione, trasferiti, addirittura ridotti in ruolo, o allontanati da Roma attraverso nomine episcopali. La seconda categoria è quella del partito tedesco anti-Georg Gaenswein, ovvero coloro che poco tollerano la funzione di filtro e protezione che da sempre – e seguendo le sue prerogative – il segretario particolare di Sua Santità ha esercitato. Per semplificare, il partito anti-Bertone e il partito anti-Gaenswein.
Se del primo si è parlato diffusamente, del partito anti-Gaenswein è stato solo un gruppo scelto di giornali a cominciare a fare nomi e cognomi durante gli ultimi dieci giorni. Il nome più in vista tra quelli che sono stati fatti nel partito anti-Gaenswein è quello di Joseph Clemens, segretario di Joseph Ratzinger fino a quando è stato nominato segretario del Pontificio Consiglio per i Laici. Clemens mal sopporterebbe la presenza di Gaenswein in un incarico che riteneva destinato a lui. Le frizioni tra i due sarebbero arrivate fino al punto in cui Gaenswein ha impedito a Clemens l’accesso all’appartamento papale. E il Papa, senza creare conflitto, avrebbe deciso di andare personalmente lui a cena da Clemens una volta al mese, presentandosi personalmente presso l’appartamento del prelato all’ex Sant’Uffizio. Visite regolari che si sarebbero interrotte da un po’. Si è fatto anche il nome di Ingrid Stampa, e quindi del cardinal Sardi, che pure appare nel libro di Nuzzi come aver preso le difese del Papa di fronte alla rimostranze del cardinal Dionigi Tettamanzi nel dibattito di quest’ultimo con la Segreteria di Stato per l’avvicendamento ai vertici del Toniolo.
Alcuni osservatori fanno notare come l’uscita dei nomi sia avvenuta quasi in concomitanza con le prime conclusioni sia dell’istruttoria a Paolo Gabriele, sia con la fine dei lavori della commissione cardinalizia. Un’uscita che sarebbe non casuale, e fatta in maniera tale che se i nomi del partito anti-Gaenswein dovessero ufficialmente essere resi noti, nessuno si potrebbe sorprendere.
E la pista dei diplomatici? L’idea che viene fuori da un’analisi delle indiscrezioni che vengono fuori in questi ultimi giorni è che probabilmente questi non hanno promosso in prima persona l’operazione, ma di certo non l’hanno ostacolata. Gabriele si muoveva, insomma, in un ambiente non ostile alla sua operazione. Quanto questo lo abbia convinto di stare facendo del bene, è tutto da definire.
Di certo, Gabriele non è stato solo la fonte del libro di Gianluigi Nuzzi. Se nel libro sono pubblicate copie dei documenti – e Nuzzi insiste molto sul fatto che lui abbia avuto nelle mani solo fotocopie, forse per scacciare lo spettro delle accuse di ricettazione – la maggior parte dei fatti erano stati già resi noti, con dovizia di particolari, a mezzo stampa, come subito alcuni giornalisti autori delle anticipazioni hanno fatto notare. Non c’erano documenti, ma c’era una dovizia di particolari che faceva comprendere come i documenti fossero stati almeno letti.
Ed è in questa atmosfera che Paolo Gabriele avrebbe orchestrato la fuga di documenti. Mettendo insieme i fatti, appare evidente il perché Benedetto XVI abbia voluto prendere chiaramente e platealmente le difese di Bertone e di Gaenswein, i due “grandi accusati”. Se Bertone è confermato nel suo incarico – un avvicendamento è del tutto improbabile, e se proprio ci dovesse essere sarà solo per ragioni di salute – da tempo si vocifera che il Papa stia pensando di dare maggior peso a Gaenswein all’interno della Casa Pontificia. E la recente nomina di Leonardo Sapienza a Reggente della Prefettura della Casa Pontificia senza che questi venisse dotato del titolo di vescovo ha lasciato pensare alcuni che la promozione a vescovo sarebbe pronta per Gaenswein. Il quale verrebbe poi inquadrato nella Prefettura della Casa Pontificia come prefetto aggiunto. Un’autorità tutta diversa rispetto a quella di semplice segretario particolare. Disinnescando in questo modo i due obiettivi cui sembra tendere la fuga di documenti: o rendere accessibile il Papa a quanti si sentono messi da parte, e sono ancora interessati a tenere le fila del potere; oppure, se questo non fosse possibile, isolare Benedetto XVI, mettendo in cattiva luce persino i suoi più stretti collaboratori.