Skip to main content

Perché il fentanyl continua a dividere Usa e Cina

Washington valuta di rivedere i dazi del 20% imposti sulle merci cinesi, in cambio di maggiori controlli sui precursori chimici. Pechino contesta le accuse e sostiene che la responsabilità del problema ricada esclusivamente sugli Stati Uniti

Una settimana, quella che volge al termine, segnata, tra le altre cose, dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina sul fentanyl. Le due superpotenze stanno cercando di mettere a punto i dettagli di un possibile grande accordo. Lunedì il presidente americano Donald Trump ha dichiarato che i negoziati a Ginevra sul commercio, che hanno visto impegnati il segretario al Tesoro americano Scott Bessent e il vicepremier cinese He Lifeng, hanno portato a una una svolta significativa per affrontare il ruolo della Cina nella crisi delle overdose da oppioidi negli Stati Uniti. Secondo Trump, Pechino si è impegnata a limitare le esportazioni di sostanze precursori verso il Messico, utilizzate dai cartelli per la produzione di fentanyl. “Hanno accettato di interrompere queste forniture”, ha detto il presidente ai giornalisti.

Dietro questa disponibilità, secondo fonti statunitensi citate da Politico, vi sarebbe la possibilità di rivedere al ribasso il dazio del 20% imposto da Trump a marzo sulle merci cinesi, misura giustificata dal fatto che la Cina “non aveva adottato misure adeguate” per bloccare l’export di tali sostanze. La presenza a Ginevra anche del ministro della Pubblica Sicurezza cinese, Wang Xiaohong, ha fatto ipotizzare un inasprimento delle misure contro i trafficanti di precursori.

Tuttavia, la Cina (da cui proviene la quasi totalità dei precursori chimici per la produzione di questa potentissima droga) respinge le accuse sul fentanyl, una sostanza che causa in media 200 morti al giorno negli Stati Uniti). “La questione del fentanyl è un problema degli Stati Uniti, non nostro”, ha ribattuto martedì Lin Jian, portavoce del ministero degli Esteri. “Nonostante la buona volontà cinese, gli Stati Uniti hanno ingiustamente imposto dazi sulle importazioni cinesi citando il tema del fentanyl”.

Molto critico è stato il commento dell’ex ambasciatore americano in Cina, Nicholas Burns, che in un’intervista a Bloomberg ha dichiarato: “La Cina è un Paese autoritario e potrebbe fermare il flusso di questi precursori”. C’è anche un rapporto pubblicato nel 2024 dalla House Select Committee on China, che ha documentato come Pechino avesse incoraggiato le aziende chimiche interne a produrre ed esportare narcotici pericolosi e le relative sostanze di base. “Pechino deve intensificare la lotta contro i venditori online che commercializzano apertamente questi precursori. Non esiste alcuna giustificazione legittima per il Partito comunista cinese”, ha dichiarato il deputato Raja Krishnamoorthi, membro di spicco della commissione.

Ma Pechino non cede. Mercoledì Lin ha bollato le parole di Burns come “false accuse”.

C’è un punto, scrive Politico. Trump non ha riconosciuto i progressi già ottenuti dai due Paesi attraverso il Joint Counternarcotics Working Group avviato lo scorso anno, collaborazione che l’amministrazione Biden ha elogiato in novembre per il calo dei decessi per overdose.

Citata dallo stesso giornale, Vanda Felbab-Brown, esperta della Brookings Institution, spiega che l’azzeramento delle esportazioni di precursori “è irrealizzabile per qualunque Paese” poiché la maggiore parte di questi composti è a duplice uso. “Esce dalla Cina con documenti legittimi e finisce in società di comodo che appaiono regolari”, dice. Come fare allora? “Imporre una due diligence prima dell’uscita delle sostanze dalla Cina sarebbe un passo importante, ma finora Pechino si è mostrata riluttante a farlo”.

(Foto: White House)


×

Iscriviti alla newsletter