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La Russia dice addio al porto di Tartus ma rilancia in Libia con l’Africa Corps

Di Ivan Caruso
marshal shaposnikov nave russa

Il recente accordo da 800 milioni di dollari tra Siria ed Emirati Arabi Uniti per lo sviluppo del porto di Tartus segna un punto di svolta negli equilibri mediterranei. Firmato all’indomani dell’annuncio di Trump sulla revoca delle sanzioni contro Damasco, questa intesa commerciale riflette profondi cambiamenti geopolitici: la Russia perde una base strategica mentre gli Usa, attraverso i Paesi del Golfo, sembrano ridisegnare la loro influenza nella regione. L’analisi del generale Caruso, consigliere militare della Sioi

La recente firma dell’accordo da 800 milioni di dollari tra la Siria e DP World degli Emirati Arabi Uniti rappresenta un punto di svolta significativo negli equilibri geopolitici del Mediterraneo. L’intesa, siglata il 16 maggio 2025, prevede lo sviluppo, la gestione e l’operatività di un terminal multiuso nel porto di Tartus, con l’obiettivo di rafforzare l’infrastruttura portuale e migliorare i servizi logistici in Siria.

Un accordo strategico nel contesto post-sanzioni

Questo accordo arriva a pochi giorni dall’annuncio del presidente statunitense Donald Trump di voler revocare le sanzioni contro la Siria, una decisione presa dopo consultazioni con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Trump ha anche tenuto un breve incontro a Riyadh con il leader siriano Ahmad Al Shara.

Il momento è particolarmente significativo poiché segna una delle prime intese internazionali di Damasco dopo l’annuncio americano della revoca delle sanzioni, aprendo la strada agli investimenti esteri in un paese devastato da oltre un decennio di guerra civile.

La Russia perde una base strategica

L’accordo con gli Eau segue la decisione del nuovo governo siriano, insediatosi dopo il rovesciamento di Assad nel dicembre 2024, di annullare un precedente contratto di investimento con la Russia. Nel gennaio 2025, Damasco ha terminato l’accordo siglato nel 2019 che concedeva alla compagnia russa STG Engineering la gestione del porto di Tartus per 49 anni, con un investimento previsto di oltre 500 milioni di dollari per la sua modernizzazione.

Questa decisione ha segnato una svolta significativa negli equilibri navali del Mediterraneo. Ad inizio del 2025 l’ultima unità subacquea della Federazione presente nel Mare Nostrum, ha attraversato lo Stretto di Gibilterra dirigendosi verso il Baltico, evidenziando l’impossibilità per la Russia di mantenere una presenza sottomarina convenzionale nel Mediterraneo senza una base di supporto.

La Russia cerca alternative in Libia

Dopo aver perso la base di Tartus, la Russia si è trovata costretta a cercare nuovi punti d’appoggio nel Mediterraneo. Mosca ha quindi avviato un massiccio trasferimento di risorse militari verso la Libia orientale.

L’esercito russo ha riorganizzato la sua presenza in Africa, sostituendo il controverso gruppo Wagner con una forza più ufficiale chiamata Africa Corps. Questa forza usa ora la Libia come principale centro operativo per estendere l’influenza russa nei Paesi del Sahel. Attualmente, circa 1.800 soldati russi sono dislocati in diverse basi nella Libia orientale, principalmente nelle aree controllate dal generale Haftar. Mosca sta anche allestendo nuovi centri di addestramento vicino a Bengasi, consolidando la sua presenza in un’area strategicamente importante, a poche centinaia di chilometri dalle coste europee.

Libia: un Paese in ebollizione

Tuttavia, la strategia russa di creare una nuova base navale in Libia si scontra con l’instabilità crescente nel Paese nordafricano. Centinaia di libici sono scesi in piazza venerdì in proteste di massa nella capitale Tripoli e in altre città, chiedendo la destituzione del premier Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh e del suo governo. Sono scoppiati scontri tra manifestanti e forze di sicurezza nei pressi dell’ufficio presidenziale, causando la morte di un membro delle forze di sicurezza.

La situazione è ulteriormente degenerata dopo l’uccisione del comandante dell’Agenzia di sostegno alla stabilizzazione (SSA) Abdelghani al-Kakli, noto come “Ghaniwa”, durante violenti scontri tra gruppi armati rivali che, secondo le Nazioni Unite, hanno causato almeno 8 morti civili. Questi eventi hanno intensificato le tensioni tra diverse milizie nella capitale.

La Libia è politicamente divisa dal rovesciamento del regime di Muammar Gheddafi nel 2011, con il potere de facto condiviso tra l’est, controllato dal Feldmaresciallo Khalifa Haftar e dal suo esercito, e l’ovest, da anni conteso da milizie rivali.

Il ruolo degli Eau e la strategia di Trump

La visita di Trump nei Paesi del Golfo Persico, che ha toccato Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, ha portato alla firma di accordi per un totale di 1.400 miliardi di dollari di investimenti promessi. Mentre il presidente degli Stati Uniti cerca investimenti esteri per contribuire a rilanciare l’industria manifatturiera nazionale, i tre Stati del Golfo sono desiderosi di accelerare lo sviluppo dell’IA per diversificare le loro economie dalla dipendenza dal petrolio.

Il Golfo è piattaforma diplomatica e di mediazione con l’operato del Qatar su svariati dossier, dell’Oman sull’Iran e, sul fronte russo-americano, dell’Arabia Saudita, ma anche capitale mondiale del business con un ruolo trainante di Abu Dhabi sul fronte della finanza e dell’innovazione. Aspira ad essere polmone d’investimento per le nuove tecnologie, intelligenza artificiale in testa, e gli Usa guardano alla regione come a una fonte di capitale e a un partner sistemico.

Un Mediterraneo sempre più complesso

Il Mediterraneo sta attraversando una profonda trasformazione negli equilibri di potere. Sebbene la Russia abbia perso la sua principale base navale nella regione, sta adattando la sua strategia con un approccio più sofisticato: pur disponendo di meno navi, Mosca compensa questa debolezza costruendo una solida presenza di forze terrestri e sistemi di difesa aerea in Libia, direttamente a sud dell’Europa.

Per la Nato, e specialmente per i Paesi del sud Europa, questa nuova realtà rappresenta una sfida molto più articolata. Non si tratta più semplicemente di monitorare navi da guerra, ma di contrastare una strategia su più fronti che può toccare punti sensibili della sicurezza europea: dai flussi migratori, che potrebbero essere usati come strumento di pressione politica, alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici che passano attraverso i giacimenti libici e le rotte marittime mediterranee.

In effetti, gli accordi tra Trump e i Paesi del Golfo, insieme all’intesa tra Emirati e Siria per il porto di Tartus, sembrano delineare una strategia americana più raffinata per contenere l’influenza russa nel Mediterraneo. Washington potrebbe star creando un sistema di “controllo indiretto” nella regione, usando la Siria come ponte strategico tra i ricchi stati del Golfo e il Mediterraneo orientale. Questo permetterebbe agli USA di esercitare influenza senza schierare direttamente forze militari significative, delegando invece a partner regionali come gli Emirati il compito di bilanciare la presenza russa.

Questo approccio si inserisce nella più ampia strategia di Trump di ridurre l’impegno militare diretto americano all’estero, sostituendolo con partnership economiche e accordi commerciali che comunque garantiscono l’influenza statunitense. La Siria, storicamente alleata della Russia, viene così gradualmente riorientata verso l’orbita occidentale attraverso la mediazione dei Paesi del Golfo, creando una nuova architettura di sicurezza regionale che serve gli interessi americani senza richiedere un coinvolgimento diretto.

In questo scenario di crescenti tensioni, con il conflitto israelo-palestinese ancora irrisolto e la Libia sull’orlo di nuove violenze, l’accordo tra Siria ed Emirati rappresenta quindi molto più di una semplice opportunità economica: è un elemento chiave nella ridefinizione degli equilibri di potere in una regione che continua a essere un crogiolo di interessi geopolitici contrastanti.


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