“Spie e sabotatori della Seconda Guerra Mondiale,” edito da Rubbettino, è il nuovo libro di Domenico Vecchiarino. In questo volume l’autore racconta le più affascinanti storie di spionaggio e operazioni di sabotaggio della Seconda Guerra Mondiale raccolte in episodi, da quelle più famose a quelle meno conosciute che, durante tutto il conflitto, hanno influito sul corso della storia. Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo un estratto del primo capitolo, intitolato “Il Doppio Gioco”
Rivera di Estoril, Portogallo, 1941. Nel Casinò Estoril, punto di ritrovo per spie e reali spodestati, un uomo con un perfetto smoking si fermò a un tavolo dove si giocava a baccarà. Tra i giocatori riconobbe una delle sue bête noire preferite, un lituano dall’aspetto insignificante ma molto ricco, di nome Bloch, che, quando teneva il banco non metteva mai un limite, contrariamente alla consuetudine nel gioco. Bloch, avvolto in una densa nuvola di fumo sprigionata dalle sigarette, annunciò in tono arrogante “banque ouverte!” e il croupier rispose «les messieurs de-bouts peuvent jouer». L’uomo in smoking, allora, si sedette al tavolo, estrasse un fascio di banconote e disse con tono freddo e distacco “cinquantamila dollari”. Una cifra da capogiro ma soprattutto, una somma che serviva a finanziare una missione segreta. Giocatori e spettatori rimasero senza fiato e il casinò cadde nel silenzio. La tensione era palpabile e l’aria carica di suspence. Il lituano si agitò con imbarazzo sulla sedia, non aveva con sé denaro a sufficienza. «Devo supporre», disse l’uomo in smoking rivolgendosi al croupier, «che il Casino garantisca per la scommessa di quest’uomo dal momento che non avete mosso obiezioni al suo banque ouverte». «Il Casino non garantisce per le scommesse di nessun giocatore, signore», replicò il croupier. Proprio come aveva pensato l’uomo. Fingendo irritazione, l’uomo in smoking riprese i soldi dal tavolo e mentre li rimetteva in tasca, disse: «Spero che richiamerete l’attenzione della direzione su questo episodio, e che per il futuro verranno proibite queste forme irresponsabili di gioco. Sono un danno e un fastidio per i professionisti». Il lituano aveva avuto la lezione che meritava ma la vittoria morale era dell’uomo in smoking: il suo nome era Popov, Duško Popov. Dietro di lui era seduto un altro agente segreto, del servizio informazioni della Marina britannica, ovviamente anche lui sotto copertura, di nome Ian Fleming, che assistette a tutta la scena e ne trasse spunto per una fortunatissima serie di romanzi di spionaggio che scriverà, il cui protagonista si chiamerà Bond, James Bond.
Ma chi è questo spregiudicato agente segreto di nome Dusko Popov? Probabilmente la sua è una delle storie di spionaggio più affascinanti della Seconda Guerra Mondiale. La storia di uno sfrontato, ma allo stesso tempo colto, intelligence, e spigliato agente che viveva una tripla vita: agente tedesco, spia inglese e agente d’affari jugoslavo, e che, come James Bond, amava i vestiti eleganti, le belle donne, il gioco d’azzardo e le macchine veloci. Ma la storia inizia qualche anno prima.
Sin da prima dello scoppio della guerra, il Terzo Reich aveva provato ad infiltrare molte spie nel Regno Unito. La maggior parte degli agenti arrivavano dalla Spagna, dal Portogallo e dall’Irlanda, come uomini d’affari, o anche dall’Europa, come rifugiati dai territori dove si andavano instaurando regimi autoritari; altri furono lanciati di notte con il paracadute o fatti sbarcare attraverso gli U-boot in territorio inglese.
(…) La localizzazione di queste spie divenne ancora più facile quando fu decifrata Enigma, la sofisticata macchina cifrante elettromeccanica, che permise agli inglesi di leggere tutto il traffico dell’Abwehr, fornendo un doppio vantaggio: dai messaggi decodificati seppero quali agenti e quante risorse i tedeschi stavano inviando in un dato punto e potevano leggere i rapporti delle spie inviate tramite Enigma al quartier generale di Berlino. Questa scoperta fece nascere un’idea brillante: dal momento che gli inglesi potevano monitorare le informazioni che tornavano in Germania, perché non tentare di utilizzare gli agenti tedeschi catturati a loro vantaggio piuttosto che limitarsi ad arrestarli e poi giustiziarli?
L’idea era stata di Thomas Robertson, un ufficiale dell’MI5, che offriva alle spie naziste scoperte la possibilità di evitare la condanna a morte, se avessero accettato di fornire informazioni false ai loro superiori, e quindi di diventare doppiogiochisti.
La prima spia ad essere reclutata fu il gallese Arthur Owens, donnaiolo impertinente e feroce nazionalista anti-inglese, che era stato arrestato allo scoppio della guerra, noto per essere stato in contatto con i servizi segreti tedeschi. Owens, infatti, era il titolare di un’azienda produttrice di batterie e prima della guerra aveva visitato spesso i cantieri navali di Kiel riferendo ciò che aveva visto ai servizi inglesi. Sfortunatamente, come rivelò un’intercettazione postale, era anche “Johnny O’Brien”, una spia al servizio dell’Abwehr, anche di un livello importante perché ad ogni agente inviato dai tedeschi per infiltrarsi in Gran Bretagna veniva detto di contattare “Johnny”.
L’MI5, quindi, mettendo le mani su Owens, fu in grado non solo di intercettare le altre spie dell’Abwehr, ma a renderle doppiogiochiste e a trasmettere informazioni sbagliate al servizio segreto tedesco. A ogni spia individuata fu assegnato un agente del controspionaggio inglese e fu creato un piccolo comitato con gli altri dipartimenti interessati soprattutto per decidere quali informazioni potessero essere trasmesse al nemico. Il 2 gennaio 1941 il sistema fu istituzionalizzato sotto la supervisione del XX Committee, sotto la presidenza di Sir John Cecil Masterman; il XX Committee, venne chiamato “Comitato dei Venti”, ma allo stesso tempo le due XX significavano Double Cross, traducibile come doppio gioco, e per questo motivo fu chiamato anche “double cross system”. Fu uno straordinario successo e ben presto iniziò a crescere il numero di agenti tedeschi che passavano nelle fila inglesi.
Uno degli agenti più importanti gestito dal Comitato dei Venti fu proprio Dusko Popov. Nato a Titel, Serbia, nel 1912 in una ricca famiglia serba, Dusko passò l’infanzia a Dubrovnik per poi frequentare la corte dell’allora Regno di Jugoslavia. Insieme ai due fratelli, Ivo, che diverrà anch’egli una spia con il nome in codice Dreadnought, e Vladan, studiò nelle migliori scuole europee e parlava, oltre il serbo, anche correntemente italiano, tedesco e francese.
Dopo la laurea in giurisprudenza all’università di Belgrado andò all’università di Friburgo dove ottenne il dottorato in legge; in questo periodo iniziò a mostrare un maggiore interesse per la politica e ad esprimere le sue opinioni democratiche e antinaziste che ben presto lo portano all’attenzione della Gestapo, la polizia politica tedesca, che lo arrestò e imprigionò nel 1937. Fu salvato dal suo amico fraterno Johann Jebsen che, ricevuta la notizia dell’arresto, avvisò il padre di Popov, il quale a sua volta mobilitò il governo jugoslavo per far liberare il figlio. Dopo otto giorni di prigionia Dusko fu rilasciato e ritornò in patria dove iniziò a esercitare la professione legale, ma l’episodio lo rese ancor più un convinto antinazista.
(Foto: Imperial War Museum)