A dar fede a Le Goff la postura trumpiana somiglia sempre meno a quella di un leader occidentale formato al culto della democrazia liberale e sempre più alle autocrazie asiatiche. Con una postura meno grigia e seriosa, però, bisogna riconoscerlo. La rubrica di Pino Pisicchio
Premessa necessaria per capirci. Stiamo con Le Goff quando fa discendere dalle scaturigini dell’Europa l’idea stessa di democrazia, di libertà (con il precipitato necessario di battersi strenuamente per conquistarla e mantenerla), del bene assoluto rappresentato dal dubbio, della centralità dell’essere umano. Lo storico attinge ai classici- da Platone e Aristotele, al Cristianesimo ma si allarga anche a Cartesio e agli Illuministi – per argomentare sulla nostra diversità “ontologica” dalle altre culture, quella araba, per esempio, o quelle orientali. Al netto delle infinite contaminazioni, resterebbero alcuni elementi di fondo divaricanti come quelli che si incontrano nella cultura asiatica, i cui popoli accetterebbero, secondo Le Goff, la servitù in cambio della tranquillità e del benessere, assecondando la loro indole pacifica. Con l’esito frequente di trovarsi di fronte a dittatori o autarchi. Naturalmente lo schema proposto si presta a rappresentare oggetto di dibattito, ma per il momento ci interessa fissare il concetto, su cui è possibile concordare pienamente, del carattere democratico della cultura europea e dell’investimento che essa fa nell’essere umano, nell’individuo e nella sua inviolabilità. Da questa premessa prende le mosse anche la visione liberale che ha caratterizzato il pensiero politico e le costituzioni del mondo occidentale, allargando il campo geografico all’altra parte dell’Atlantico con gli Stati Uniti.
Fino a quando non è arrivato Trump. Il ritorno del tycoon alla guida degli Usa sembra indicare un quadro nuovo nella vision non più comune tra Europa e America su ciò che si vuole intendere per democrazia liberale, diritti umanitari, rispetto delle regole, autonomia del potere giudiziario, libertà di manifestazione del pensiero. E, se la “solidarietà atlantica” resta un punto fermo per l’Europa in termini di lealtà con l’alleato d’oltreoceano, non sembra essere così per Trump, impegnato nella guerra dei dazi che neanche i cospicui investimenti in euro che qualche leader europeo in visita cortese gli ha garantito (e che servono ad alleviare la voragine di debito pubblico che strangola l’America), riescono a fermare. Da queste colonne abbiamo più di una volta evidenziato la necessità di leggere la politica contemporanea non solo con le chiavi classiche della politologia, ma aggiungendo l’ausilio delle scienze della psiche: psicanalisi certamente, ma qualche volta anche psichiatria.
Forse in questo caso l’approccio ci gioverebbe per comprendere per esempio se è solo una strategia politica o c’è dell’altro nell’andamento contraddittorio di Trump quando lancia i suoi anatemi all’universo mondo e poi qualche ora dopo li corregge capovolgendo o ridimensionando le uscite così improvvide; quando appare in preda a forme patologiche di coprolalia acuta; quando col suo lessico, diciamo così, “informale” distrugge tutti i canoni della comunicazione istituzionale e della diplomazia che regge i rapporti tra capi di Stati sovrani; quando assume davanti ai microfoni quelle posture bullesche da telefilm per adolescenti americani degli anni ’80. Insomma la scena pubblica globale si svolge all’interno dell’imprevedibilità assoluta che, per le oscillazioni quotidiane di uno degli uomini più potenti della terra, e per il suo lessico del tutto fuori dai canoni di base di una plausibile dialettica tra Stati, destituisce di ogni plausibilità il dialogo necessario, in un momento storico di straordinaria criticità.
L’hanno sperimentato direttamente sulla loro pelle i leader europei, a cominciare dalla nostra Meloni (ma vale anche per Starmer e da ultimo Merz): la solidarietà atlantica resta un flatus vocis che si muove da una sola parte, quella europea, verso la sponda americana. Non c’è viceversa. Anzi: a dar fede a Le Goff la postura trumpiana somiglia sempre meno a quella di un leader occidentale formato al culto della democrazia liberale e sempre più alle autocrazie asiatiche. Con una postura meno grigia e seriosa, però, bisogna riconoscerlo.