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Quali prospettive anti-drone per l’ala rotante? Scrive Del Monte

Di Filippo del Monte

Dall’Apache israeliano che abbatte un drone di Hezbollah al “Prachand” indiano, si consolida la tendenza a riutilizzare gli elicotteri d’attacco in funzione anti-drone. La loro capacità di operare a bassa velocità e seguire i bersagli visivamente li rende ideali per intercettare minacce leggere e mobili

L’impiego dei cannoni navali per abbattere i droni lanciati dagli Houthi nel Mar Rosso è stata una delle innovazioni derivanti da quel ciclo operazionale. L’idea che il cannone possa rappresentare una alternativa “economica” – accompagnata da una maggiore efficacia e capacità di saturazione dello spazio – ai missili, nel quadro delle tattiche anti-UAs è emersa proprio nel Mar Rosso. Ma non è solo nel dominio navale che questa idea ha preso piede.

L’impiego di armi cinetiche, cioè quelle dotate di proiettili convenzionali, è uno dei metodi impiegati per abbattere i droni, ivi compresi quelli a sciame, diffusosi in modo capillare. Basti pensare che sempre più eserciti stanno valutando la possibilità di dotare i propri soldati di armi individuali – fucili a pompa nello specifico – anti-drone.

Nell’ambito della “terza dimensione”, fece scalpore un video di circa sei mesi fa, in cui un elicottero Ah-64 Apache israeliano riusciva ad abbattere con il suo cannone M230 un drone kamikaze di Hezbollah nei cieli di Haifa; mentre, a fine 2024, il Comando Centrale dell’Esercito degli Stati Uniti ha annunciato che uno dei suoi elicotteri d’attacco Ah-64, dotato di un missile Agm-114 Hellfire aggiornato, ha ingaggiato con successo un Uas durante l’esercitazione Red Sands in Arabia Saudita. Anche l’India ha individuato nel suo elicottero da combattimento leggero “Prachand” la piattaforma da impiegare in funzione anti-drone nel prossimo futuro. Estendere anche a quella anti-drone le funzioni degli elicotteri d’attacco, per i quali l’orientamento generale è trasformarli in piattaforme multiruolo e non più limitate al “close air support”, è una delle possibilità che vengono valutate.

Nel 1978/1979 lo Us Army e la Us Air Force condussero un esperimento congiunto sul “dissimilar air combat”, denominato J-Catch (Joint Countering Attack Helicopter) in cui si ipotizzava uno scontro tra elicotteri e caccia. L’esperimento dimostrò che gli elicotteri d’attacco non solo potevano essere impiegati nel combattimento aereo vero e proprio, oltreché con le funzioni anticarro per i quali erano stati inizialmente progettati, ma anche che potevano rivelarsi avversari estremamente insidiosi per i velivoli ad ala fissa. Infatti, se gli aerei venivano ingaggiati lungo la linea di vista, la possibilità che fossero abbattuti dagli elicotteri si rivelò essere particolarmente alta, con il risultato che J-Catch terminò, contro ogni pronostico, con cinque caccia abbattuti contro un solo elicottero.

Il riferimento ai risultati di J-Catch è d’obbligo, perché rimanda direttamente all’azione condotta dall’Apache della Heyl Ha’Avir (Israeli Air Force) contro i droni di Hezbollah. Come già detto, le azioni “counter-Uas” condotte con elicotteri – che sono un caso analizzato anche dal Joint Air Power Competence Centre della Nato e, perciò, di riflesso, dai Paesi membri dell’Alleanza – rientrano nella categoria più ampia dell’impiego di armi cinetiche; ma questo è possibile perché i velivoli ad ala rotante possono volare in “slow flight” alla stessa velocità dei droni e abbatterli.


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