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Il festival della tv di Putin arriva in un Paese Nato. È l’Italia

Gorizia ha ospitato, per la prima volta sul suolo di un Paese aderente alla Nato, il festival “RT.Doc: Il tempo dei nostri eroi” organizzato dall’emittente russa RT, bandita dall’Unione europea a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Solita propaganda, soliti interrogativi: come garantire la libertà di parola evitando che il dibattito venga inquinato ad arte?

È stato in Italia, nel weekend appena trascorso, che si è svolto per la prima volta in un Paese della Nato il festival “RT.Doc: Il tempo dei nostri eroi” dell’emittente russa RT (già Russia Today), che l’Unione europea ha deciso di bandire in risposta all’invasione russa dell’Ucraina. L’evento, presentato dagli organizzatori come un’occasione di “resistenza culturale”, si è tenuto il 30 e il 31 maggio a Gorizia, in Friuli-Venezia Giulia, una delle capitali europee della cultura per il 2025 (con Nova Gorica in Slovenia; l’altra è la tedesca Chemnitz).

Yekaterina Yakovleva, responsabile di RT Documentary, ha inaugurato i lavori e, secondo quanto recita il comunicato stampa, ha dichiarato: “Siamo bloccati in tutta Europa, ma grazie a voi italiani che partecipate così numerosi alle nostre proiezioni, abbiamo ancora una voce nel vostro splendido Paese”. In apertura è stato proiettato un videomessaggio di Margarita Simonyan, caporedattrice di RT, sanzionata dall’Unione europea per il suo ruolo nella diffusione della propaganda e della disinformazione russa. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha invitato una lettera di saluto.

L’evento è stato organizzato dall’associazione Vivere o sopravvivere, passata dalle battaglie no-vax a quelle contro le valute digitali, “il cambiamento climatico strumentalizzato” e generalmente “le guerre” ma in particolare, basta dare un’occhiata al sito, contro l’Unione europea e la Nato. Si tratta di temi che trovano consenso a livello traversale, a sinistra quanto a destra, e che uniscono i due poli essendo utilizzati contro “il sistema”, a partire dall’Unione europea e dalla Nato. E così, al festival hanno partecipato figure vicine alla sinistra come il vignettista Vauro Senesi, il professor Angelo D’Orsi e la giornalista Fiammetta Cucurnia, ma anche Leonardo Facco, fondatore del Movimento libertario e grande ammiratore del presidente argentino Javier Milei. Presente anche Vincenzo Lorusso che, tramite International Reporters (sito “mascherato da organo di informazione professionale per diffondere la disinformazione russa” per dirla con l’ong Reporter senza frontiere) e il suo canale Donbass Italia su Telegram, è uno dei principali diffusori di propaganda russa in italiano.

L’evento di Gorizia segue proiezioni simili già svoltesi in più di 20 Paesi in Europa, Asia, Africa e America Latina. Per esempio, il 19 e il 20 maggio a Banja Luka, seconda più grande città della Bosnia ed Erzegovina, che i media filorussi preferiscono presentare come capitale della Repubblica Srpska (Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina), ovvero una delle due entità della Bosnia ed Erzegovina. I vari eventi seguono agende simili, unendo questioni interne e internazionali. A Banja Luka si è parlato dei “crimini dei regimi nazisti contro il popolo serbo” ma anche dei “crimini commessi dalle Forze Armate ucraine nella zona SVO”, che è la sigla dell’invasione russa dell’Ucraina. A Gorizia, invece, è stato presentato un documentario del regista russo Oleg Nekishev incentrato, recita il comunicato, “sulle mobilitazioni civili italiane contro derive autoritarie e sulla campagna ‘La Russia non è mia nemica’, tra manifestazioni, petizioni e affissioni pubbliche”. Due classici della propaganda russa: la deriva autoritaria nei Paesi occidentali e le manifestazioni di amicizia verso Mosca.

L’evento ripropone un interrogativo, già emerso dopo una serie di appuntamenti simili, decisivo per l’Italia. Ma, in generale, per le democrazie liberali. Come garantire la libertà di espressione assicurando allo stesso tempo che l’ambiente informativo non venga inquinato da attività e Stati ostili? È una delle principali asimmetrie nel confronto tra democrazie e autocrazie. E non ci sono risposte semplici.

(Foto: associazione Vivere o sopravvivere)


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