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Dallo scontro India-Pakistan è la Cina a guadagnarci

Di Vas Shenoy

Lo scontro tra Pakistan e India coinvolge grandi dossier come gli equilibri nell’Indo-Pacifico e la Via della Seta (lato Cpec). La Cina può capitalizzare dalle tensioni in corso, sfruttando Islamabad contro New Delhi

A volte, la domanda più importante in geopolitica è: cui prodest? — chi ne trae beneficio di contesti e sviluppo? Dopo l’attentato terroristico del 22 aprile a Pahalgam, che ha causato la morte brutale di 26 turisti indù, India e Pakistan hanno avviato una dura offensiva diplomatica. La risposta militare indiana ha provocato un breve ma pericoloso scontro armato tra due potenze nucleari, attirando l’attenzione dei media internazionali e facendo temere un’escalation. Ma mentre Nuova Delhi affrontava campagne di disinformazione e Islamabad si aggrappava a una narrativa fragile di vittoria militare, un attore si muoveva nell’ombra, silenziosamente ma con decisione: la Cina.

Mentre gli occhi del mondo erano puntati sullo scontro subcontinentale, Pechino consolidava la propria influenza nella regione.

La rinascita del Cpec: una svolta strategica verso l’Afghanistan

Il 21 maggio, i ministri degli Esteri di Cina, Pakistan e Afghanistan si sono riuniti a Pechino per annunciare l’estensione del Corridoio Economico Cina-Pakistan (Cpec) nel territorio afghano. Nato nel 2013 come progetto di punta della Nuova Via della Seta di Xi Jinping, il corridoio di 3.000 km collega il porto di Gwadar, sul Mar Arabico, alla regione cinese dello Xinjiang, a maggioranza musulmana.

Tuttavia, il progetto ha incontrato ostacoli significativi. Il percorso attraversa il conteso territorio del Gilgit-Baltistan ed è esposto sia a condizioni climatiche estreme sia a instabilità politica. In inverno è praticamente inagibile, e l’idea di trasportare petrolio da Gwadar allo Xinjiang come alternativa allo Stretto di Malacca si è rivelata antieconomica. Inoltre, la crescente debolezza dell’esercito pakistano nel Balochistan ha scoraggiato molte imprese cinesi.

La svolta afghana è dunque una mossa strategica di Pechino. Con l’appoggio di Islamabad, i talebani vengono ora considerati un partner affidabile, in grado di garantire la sicurezza che l’esercito pakistano non è più in grado di offrire. L’Afghanistan rappresenta per la Cina una riserva preziosa di risorse minerarie—soprattutto litio—e una profondità strategica fondamentale. L’estensione del Cpec aprirebbe una rotta diretta attraverso il corridoio del Wakhan, facilitando l’estrazione di terre rare e la difesa contro i militanti dell’East Turkestan Islamic Movement (Etim), accusati da Pechino di fomentare disordini nello Xinjiang.

Questo patto trilaterale consente al Pakistan di salvare la faccia, sostenendo che l’accordo ridurrà gli attacchi del Tehrik-i-Taliban Pakistan (Ttp), gruppo attivo sul confine afghano. Ma evidenzia anche una perdita di fiducia cinese nei confronti dell’esercito pakistano, da anni considerato garante degli interessi cinesi nella regione.

La strategia dell’accerchiamento e la scacchiera indo-pacifica

Con l’accordo di Kabul, la Cina compie un ulteriore passo nella sua strategia di lungo periodo: l’accerchiamento dell’India. Questo piano ha preso slancio con il cambio di governo in Bangladesh nell’agosto 2024, quando la premier filo-indiana Sheikh Hasina è stata estromessa. Durante la tregua negoziata dalla Russia a Kazan in ottobre, in coincidenza con le elezioni americane, Pechino ha accelerato l’allineamento politico di Nepal e Bangladesh, sempre più aperti agli investimenti cinesi. Con la salita al potere di Muhammad Yunus, Pechino ha rafforzato la sua presenza nella Baia del Bengala, rilanciando i legami tra Bangladesh e Pakistan—un asse islamico che non si vedeva dalla spartizione del 1971.

L’estensione del Cpec in Afghanistan rischia di vanificare i recenti segnali di apertura tra India e talebani, soprattutto dopo che questi ultimi hanno espresso solidarietà a Nuova Delhi in seguito all’attacco di Pahalgam. La tempistica cinese non è casuale: pochi giorni dopo il cessate il fuoco tra India e Pakistan, Pechino ha riacceso la disputa toponomastica sull’Arunachal Pradesh e minacciato di controllare il flusso del Brahmaputra, in risposta alla sospensione da parte indiana del Trattato delle Acque dell’Indo.

Inoltre, la dipendenza economica del Pakistan dal Fondo Monetario Internazionale e la sua continua attenzione verso Washington rendono instabile il suo ruolo di leva strategica per la Cina. In un momento in cui i rapporti tra India e Stati Uniti vacillano—anche per l’ambiguità del presidente Trump—Pechino cerca di approfittarne. Anche la posizione strategica dell’India a Chabahar, sua porta verso l’Asia centrale, potrebbe diventare oggetto di negoziazione in un futuro accordo commerciale indo-americano.

L’amicizia “senza limiti” con la Russia mostra crepe

La Cina è convinta di aver circondato l’India, via terra e via mare. Ma la sua alleanza con Mosca—definita “amicizia senza limiti”—comincia a scricchiolare.

Un documento riservato dell’Fsb russo, reso pubblico dal New York Times e verificato da sei agenzie d’intelligence occidentali, rivela una crescente sfiducia verso Pechino. Redatto dal Settimo Servizio dell’Fsb, incaricato del controspionaggio cinese, il rapporto denuncia il tentativo di reclutare scienziati e tecnici militari russi, soprattutto nei settori dei droni e delle operazioni in Ucraina.

Secondo il rapporto, Pechino starebbe utilizzando l’esperienza bellica russa per studiare in tempo reale le capacità militari occidentali. La Cia conferma che la Cina “sta imparando in tempo reale” dagli errori russi, mentre l’intelligence britannica nota un forte interesse cinese per le armi fornite dalla Nato.

Proprio come in Ucraina, Pechino avrebbe provocato una crisi indo-pakistana limitata per testare la prontezza bellica dell’India e raccogliere intelligence tramite un conflitto per procura.

L’insicurezza del Dragone

Nonostante la sua crescente potenza, il tallone d’Achille della Cina resta l’insicurezza. Tratta i partner come vassalli, non come pari. Mentre promuove alleanze multipolari e incoraggia forum come i Brics, nel frattempo sorveglia gli alleati, costruisce alternative e sfrutta l’identità islamica come strumento geopolitico, pur reprimendola con forza in patria.

Nel Xinjiang, continua la repressione dei musulmani uiguri. All’estero, alimenta il radicalismo islamico come leva d’influenza politica. Questa contraddizione potrebbe presto danneggiare la sua credibilità internazionale e trasformarsi in un rischio per la sua stessa sicurezza.

L’autonomia strategica dell’India

In mezzo alle turbolenze, l’India si afferma come attore chiave, resiliente e prudente. Impara dai propri errori, si adatta e mantiene una posizione di autonomia strategica che si rivela sempre più centrale, così come il suo modello democratico, in un mondo di alleanze volatili e agende nascoste.

Alla fine, è una partita lunga, fatta di pazienza e visione. La Cina può anche ottenere successi tattici, ma la sua strategia è indebolita da diffidenze interne e ambizioni eccessive.

In questa guerra silenziosa per l’influenza, il nemico più pericoloso della Cina non è l’India, ma la propria insicurezza.


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