Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali
Ancora pochi giorni fa era inimmaginabile una grande intesa per la stabilizzazione complessiva del Medio Oriente in grado di sciogliere l’intreccio dei conflitti della regione.
Oggi, pur fra incognite, insidie e sfiducie reciproche, la ripresa del negoziato israelo-palestinese, l’intesa sulle armi chimiche siriane e le manifestazioni di buona volontà scambiate alle Nazioni Unite tra Iran e Stati Uniti potrebbero indicare che qualcosa si muove nella direzione giusta.
Isolamento addio
Quali potrebbero essere le componenti di questo “grand bargain”? Nodi centrali sono il ruolo di Teheran nella regione e quindi la questione nucleare e gli equilibri tra Iran, Turchia e monarchie del Golfo; la sicurezza di Israele; la stabilizzazione sostenibile dei paesi traversati dalle convulsioni del 2011-2012; la fine dei conflitti di diversa intensità in Siria, Iraq e Libano alimentati dalle rivalità tra attori esterni, dai jihadisti e dagli strumentalizzati conflitti religiosi.
Il presidente iraniano Hassan Rouhani persegue l’uscita dall’isolamento e dalle sue gravi conseguenze economiche. Ma l’obiettivo strategico dell’Iran resta immutato: assicurare la sua influenza fino al Mediterraneo e poter quindi contare su positivi rapporti con Iraq, Siria e Libano.
È una vocazione connaturata alla storia plurimillenaria della Persia che ha determinato nei secoli conflitti con i vicini occidentali. Una composizione tra gli interessi degli attori interni ed esterni alla regione può essere ora trovata? E come si profilano le posizioni di questi attori?
La Turchia potrebbe essere la più interessata a un compromesso, con le dovute garanzie e malgrado le radicate diffidenze verso il regime clericale sciita iraniano. Dovrebbero spingerla in questa direzione il capitale politico ed economico investito in questi anni nella regione, le esigenze di mantenimento della crescita economica e le aspettative di conseguenti effetti positivi anche sulla stabilità interna, scossa dalle proteste degli ultimi mesi, e sulla questione curda nei suoi risvolti interni e regionali.
Conservatori
Più critica è la lettura degli interessi dell’Arabia Saudita e delle altre monarchie del Golfo nelle cui strategie sembrano prevalere essenzialmente due aspetti. Da un lato il loro ruolo di esportatori di idrocarburi e grandi attori della finanza internazionale e dall’altro la conservazione degli assetti di potere interni.
Una prospettiva di pacificazione e quindi di totale agibilità di tutte le risorse energetiche della regione significherebbe accettare che l’Iraq diventi, come gli consentirebbero le sue riserve, grande esportatore di idrocarburi e quindi accumulatore e gestore di risorse finanziarie di peso comparabile a quello dell’Arabia Saudita.
Significherebbe anche accettare un ruolo analogo dell’Iran, amplificato dalle sue dimensioni, dallo spessore della sua statualità e dalla sua capacità di utilizzare lo strumento religioso. È una prospettiva che Riad ed in misura diversa altre capitali del Golfo hanno costantemente contrastato anche per le possibili conseguenze sui loro assetti interni.
Per Israele si tratterà di vedere quale visione dei suoi interessi di lungo periodo prevarrà: se considerare la propria sicurezza meglio garantita da tensioni e contrapposizioni che consentano di dividere i nemici e valorizzare al meglio una evidente supremazia militare, oppure puntare a riconciliazione, legittimazione reciproca e cooperazione a livello regionale con le necessarie garanzie di adeguate capacità di difesa, ma senza l’arma nucleare. L’apporto israeliano al disegno complessivo è quindi indispensabile, ma tutt’altro che scontato.
Attori esterni
Fondamentale sarà poi il concorso delle potenze fuori dalla regione. Stati Uniti, Europa, Giappone, Cina e India hanno prevalenti interessi alla stabilizzazione e alla soluzione dei conflitti nell’area. La Russia, che dal complesso esercizio ricaverebbe un riaffermato ruolo di grande potenza con capacità e influenze determinanti nella regione, sarà tanto più interessata a portare positivamente a termine il processo assieme al resto della comunità internazionale quanto più la sua economia ora prevalentemente basata sulla esportazione di idrocarburi evolverà verso una realtà industriale moderna con interessi sempre maggiori in un sistema economico mondiale integrato.
Nucleo centrale di questo processo è l’accordo sulle capacità nucleari iraniane, basato sul riconoscimento del diritto al loro sviluppo per usi pacifici contenuto nel trattato di non proliferazione e sulla garanzia che non vi sia una sua possibile conversione militare, con una accettazione da parte dell’Iran di verifiche, ingerenze e misure tecniche tali da fugare ogni dubbio.
Affinché ciò si realizzi potrà però essere necessario che ai condizionamenti posti all’Iran si accompagni un rilancio dell’attuazione integrale del trattato di non proliferazione, inclusa la disposizione dell’art. 6 sull’impegno per il disarmo nucleare. Questa disposizione fu tra le condizioni poste dall’Italia, e da altri, al trattato del quale il nostro paese è sempre stata tra i maggiori sostenitori.
Saranno disponibili le potenze nucleari ad un effettivo, scadenzato e verificato processo di disarmo nucleare su cui il presidente Obama ha a più riprese espresso buone intenzioni? Come si vede la strada verso l’auspicato “grand bargain” è tutt’altro che facile. Ma questo non significa che non si debba cercare di percorrerla con determinazione.
Maurizio Melani è Ambasciatore d’Italia